Terremoto e guerra sconvolgono Myanmar, (Birmania)

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Il mondo soffre non solo per le guerre e i conflitti in corso e che non trovano la via della pace, ma anche per le catastrofi naturali che colpiscono intere regioni con danni umani e materiali di grandi dimensioni. Particolarmente disastrosa è la situazione quando conflitti e catastrofi si incrociano e portano le distruzioni a livelli intollerabili per le popolazioni.

E’ successo in questi giorni in Myanmar dove un terremoto di magnitudo 7.7 ha devastato il Paese facendo un numero di vittime ancora imprecisato, ma che potrebbe superare, secondo inquietanti stime, migliaia di persone. Resta tuttavia difficile valutare con precisione le dimensioni della catastrofe, visto che gran parte della popolazione vive lungo l’inaccessibile faglia di Sagaing, punto di incontro fra la placca indiana e quella eurasiatica, una lunga “autostrada sismica” di più di 1.200 km. 

Ad ampliare ulteriormente le dimensioni di tale tragedia è senz’altro la storia complessa di un Paese da tanti anni isolato e attraversato da profonde fratture etniche,  religiose e socio economiche e dove i generali al potere combattono contro decine di gruppi armati sparsi in varie regioni. Una lotta che non si è fermata nemmeno durante il terremoto, visto che, mentre la terra tremava potentemente, i militari hanno continuato i loro attacchi contro i “ribelli”.

La storia più recente del Paese inizia nel 1948, quando la Birmania, allora colonia dell’Impero britannico, proclamò la sua indipendenza. Il Paese cadde in una lotta di tutti contro tutti, si disintegrò e il tentativo di instaurare un sistema democratico venne violentemente spazzato via una prima volta nel 1962 e poi, con la forza nel 1964 dal dittatore Ne Win.

La dittatura militare durò per più di cinquant’anni fino al 2015, anno in cui si svolsero, fra minacce e pressioni, le prime elezioni democratiche che portarono al potere il partito LND (Lega Nazionale per la Democrazia) con a capo Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991. Una Lady che diede avvio alle campagne per la democrazia già dal 1989, sempre represse nel sangue da parte dei militari al potere e lei stessa arrestata, incarcerata a più riprese e sottoposta agli arresti domiciliari durante i quali divenne, anche a livello internazionale, un simbolo della resistenza pacifica contro la giunta militare.

Ma il Governo della Lady, che per ragioni costituzionali non poté ricoprire la carica di Presidente, ma solo di Consigliere di Stato, venne travolto nel 2021 da un altro colpo di Stato militare. Aung San Suu Kyi è stata fortemente criticata per il suo atteggiamento politico nei confronti dei Rohinga, accusata di non aver impedito le violenze inflitte e denunciate da quella minoranza di fede musulmana. Un’accusa pesante che le ha tolto credibilità e riconoscimento da parte della comunità internazionale. 

Dal 2021, la guerra civile infuria in Birmania e i militari  non concedono tregua o prospettive di soluzione ad una guerra sempre più disastrosa per le condizioni di vita che genera. Un recente rapporto dell’ONU segnala che la guerra abbia costretto alla fuga più di tre milioni di persone e che circa un terzo della popolazione abbia bisogno di assistenza umanitaria.

E’ certamente una guerra dimenticata dalla comunità internazionale e che il terremoto ha riportato sotto i riflettori, ma la cui popolazione, fra mille sofferenze, tiene testa a chi detiene il potere e continua a sperare e a lottare per un ritorno della democrazia. Da non dimenticare.

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