È toccato ai greci aprire le danze delle consultazioni elettorali d’autunno. Domenica scorsa sono tornati ai seggi per la terza volta in appena otto mesi: prima per le elezioni politiche di gennaio che avevano decretato una larga vittoria di Syriza, una vasta aggregazione di componenti della sinistra ellenica con a capo Alexis Tsipras; a giugno per il referendum sul piano imposto dalla Troika e rifiutato dal 62% degli elettori greci e, domenica, per nuove elezioni politiche destinate a esprimersi sulla proposta della Troika, accettata da Tsipras nonostante l’esito referendario, grazie al sostegno ricevuto dalle forze di opposizione, ad esclusione delle estreme, di destra e di sinistra.
Come appare chiaro, un quadro politico complesso e contrastato che ha fatto da sfondo alla nuova consultazione elettorale, vinta nettamente da Tsipras sugli avversari conservatori di Nuova Democrazia (rispettivamente 145 seggi contro 75), ma che non scongiura del tutto rischi di instabilità politica per una coalizione insolita che, mettendo insieme sinistra e gli indipendentisti di destra di Anel (con i loro 10 seggi), permette a Syriza di raggiungere per appena un seggio la maggioranza in Parlamento e di guidare il nuovo governo. Un governo da subito alle prese con l’attivazione dell’accordo di agosto dal quale dipendono gli 86 miliardi di euro promessi alla Grecia e con la speranza di un alleggerimento dell’insostenibile debito greco, grazie a dilazioni delle scadenze di rimborso e a riduzioni degli interessi. Una richiesta avanzata dal Fondo monetario internazionale per partecipare all’operazione di salvataggio, il cui intervento è ritenuto indispensabile da parte della Germania.
Si tratta di una situazione segnata da molte fragilità, prima fra tutte la reale prospettiva di crescita per un Paese sfiancato da una crisi che non consente facili illusioni sulla sua soluzione e, quindi, sulla reale possibilità di onorare gli impegni sottoscritti nel corso delle estenuanti trattative estive a Bruxelles.
E, tuttavia, una situazione che per ora non sembra destare eccessive preoccupazioni, diversamente dalle esasperazioni dei mesi scorsi, adesso che altri più gravi problemi hanno fatto passare in seconda linea il problema del debito greco: dal dramma di profughi e migranti che continuano a cercare ospitalità nell’UE ai timori innescati dal rallentamento delle economie dei Paesi emergenti fino alle recenti mosse della Federal Reserve USA, che tradiscono una chiara preoccupazione sull’evoluzione della crisi economica mondiale, compresa quella americana.
Ma già l’ombra lunga di altre imminenti elezioni si proietta sull’Unione Europea: a settembre le elezioni regionali in Catalogna, vissute come un referendum sulla futura indipendenza della Regione (che potrebbe ridare fiato agli indipendentisti scozzesi), a inizio ottobre le elezioni politiche in Polonia con la probabile vittoria delle destre, a fine settembre quelle in Portogallo, reduce da una severa cura di austerità e, a fine anno, le elezioni politiche in Spagna e quelle regionali in Francia.
Si prospetta un autunno caldo per l’Unione Europea che, dopo aver provvisoriamente tamponato la crisi greca ed essersi dilaniata sull’emergenza profughi e migranti, sentirà suonare dai seggi elettorali nuovi campanelli d’allarme sulla sua fragile coesione politica e sociale e, si spera, potrà ricavare uno stimolo ad accelerare sulla strada di un nuovo progetto di Unione, sulle ceneri di quello che si è andato logorando gravemente in questi ultimi tempi.