Tempi duri per le democrazie occidentali

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Non è ancora finito il coro di lamenti per le convulsioni in corso nella “grande e antica” democrazia americana e già il tema rimbalza da questa parte dell’Atlantico, nel cuore stesso dell’Unione Europea. E’ di queste ultime ore l’annunciata decisione di Ungheria e Polonia, cui si è aggiunta la Slovenia (per memoria il suo Premier si era precipitato a complimentarsi con Trump per la sua “vittoria”), di porre il veto su due importanti strumenti finanziari UE: il bilancio comunitario 2021-2027 e l’adozione di risorse proprie europee per sostenere lo sforzo straordinario dell’UE di fronte alla crisi innescata dalla pandemia da Covid-19.

E non si tratta di decisioni minori, la prima perché destinata a dare ossigeno alle politiche dell’Unione Europea, con una dotazione di 1.090 miliardi di euro per i prossimi sette anni; la seconda perché consente di non gravare sugli stremati bilanci nazionali, reperendo con forme di fiscalità europea le risorse necessarie per sostenere il Piano di ripresa UE con una dotazione aggiuntiva di 750 miliardi di euro.

A queste due decisioni, indispensabili per consentire all’Unione Europea di venire in soccorso alle economie dei suoi Paesi membri, i tre Paesi che si oppongono non lo fanno perché in disaccordo né sul volume delle risorse né sulla loro destinazione (per loro particolarmente generosa), visto i grandi vantaggi che ne trarrebbero, così come li hanno tratti abbondantemente dal 2004 ad oggi.

Il “no” ungherese, polacco e sloveno, che si traduce con il ricatto del veto su materie che devono essere deliberate all’unanimità, è paradossalmente motivato da una questione di principio, quella di difendere la propria sovranità, la stessa pronta a aprirsi al flusso dei Fondi comunitari. Più precisamente si tratterebbe di difendere la propria sovranità nazionale dal vincolo delle regole dello Stato di diritto, quello che prevede tra l’altro l’indipendenza della magistratura e la libertà di espressione e di stampa, due fondamentali elementi della democrazia che sono alla base delle nostra convivenza civile, come chiaramente dichiarato in apertura dei Trattati UE e sottoscritto da tutti i Paesi membri quando hanno adottato la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” dove nel Preambolo si legge che “L’Unione… si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto … e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”. Sono queste le condizioni per poter far parte dell’Unione – e per restarvi –  se si vuol godere dei suoi benefici.

Su un tema di questa sensibilità e in una stagione della storia che vede declinare nel mondo la vita democratica, dalla Cina all’India, dalla Russia alla Turchia, addirittura mettendola in pericolo negli USA, non vi è compromesso possibile, pena scivolare su un piano inclinato che l’Europa ha già tragicamente sperimentato nel secolo scorso, con nazionalismi in conflitto tra di loro e senza rispetto per le regole minime della democrazia.

Va dato atto al Parlamento europeo, e ai suoi primi quattro Gruppi politici, di avere esercitato una pressione costante sul tema, costringendo un imbarazzato Consiglio dei ministri a fare chiarezza. E tocca adesso a quest’ultimo mostrare coerenza e convincere Ungheria, Polonia e Slovenia ad accettare le regole del gioco. Non sarà facile, visto lo sproporzionato potere che dà loro il voto all’unanimità e con esso l’arma del veto: questo nonostante che la capacità economica (Pil) di questi tre Paesi rappresenti appena il 5,1% del Pil complessivo dell’Unione Europea. 

Il Consiglio dei ministri UE, attualmente guidato da Angela Merkel, dispone di qualche arma non indifferente – politica e finanziaria – per ricondurre i tre Paesi alla ragione pur non avendo molto margine di manovra perché deve, da una parte, rispettare e far rispettare i Trattati e l’accordo appena intervenuto con il Parlamento europeo e, dall’altra, impedire che venga vanificata, o anche solo ritardata l’esecuzione, delle misure straordinarie di solidarietà adottate il luglio scorso e delle quali vi è urgente necessità per tutti, compresi i tre Paesi schierati dietro alla minaccia di veto. 

E il tema della  solidarietà europea dovrebbe ricordare qualcosa a tre  Paesi che negli anni ne hanno largamente beneficiato e continuano ad averne un grande bisogno.    

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