Forse mai come in questi giorni abbiamo capito quanto lenta sia stata questa nostra Europa a cogliere la gravità delle sfide che la coinvolgono, al punto da chiedersi se ormai non sia troppo tardi per dare risposte adeguate.
Torna in mente l’immagine della tartaruga, lenta e impacciata nel muoversi e troppo fiduciosa nella sua corazza che a poco oggi le serve, come non sembra esserle servita la sua antica saggezza, maturata in secoli di cultura dialogante e di educazione all’accoglienza.
A prevalere sembra sia stata la sua mancanza di memoria, non soltanto quella dei conflitti esterni, ma più ancora di quelli alimentati all’interno dell’Europa, ubriaca di vecchi nazionalismi e illusa da presunte sovranità che le hanno impedito di proseguire sulla strada dell’integrazione politica e, quando necessario, militare, al punto da trovarsi oggi inerme di fronte alla barbarie del terrorismo e incapace di garantire sicurezza ai suoi cittadini.
E così adesso la vecchia tartaruga non sa fare altro che ristabilire i controlli alle frontiere, dimenticando che i focolai di violenza covano al suo interno, nelle periferie di intere generazioni frustrate dalla mancanza di lavoro e ferite da crescenti diseguaglianze, ma allevate nella promessa illusoria di un benessere senza limite per tutti.
Nemmeno la minaccia terroristica riesce a spingere i Paesi dell’UE a condividere almeno i servizi di informazione, chiaro indicatore di quanto sia scarsa la fiducia reciproca. Figurarsi quanto tempo sarà necessario a questa tartaruga sospettosa per convincersi che potrà sopravvivere solo se si muoverà meno lenta, ma soprattutto unita e non solo per difendersi dal terrorismo, ma anche da una competizione economica che si annuncia molto agguerrita e da un’omologazione culturale già in fase di avanzata realizzazione.
Nel 732 lo straripamento musulmano venne fermato da Carlo Martello alla testa dei Franchi nella leggendaria battaglia di Poitiers e fu per l’Europa la sua data di nascita.
Altre battaglie seguirono senza interruzione con altri avversari e la vittoria nel 1945 sul nazismo e il fascismo fu l’occasione per tenere a battesimo una nuova Europa, quella della solidarietà e della pace. Fu allora che la barca si staccò dalla riva, prendendo il largo con a bordo sempre nuovi Paesi, ma ancora con troppa zavorra del passato, dove ognuno ci metteva del suo: la Germania traumatizzata e allora discreta, l’Italia creativa e poco affidabile, la Francia ammaccata e presuntuosa, la Gran Bretagna reduce da un impero e fedele agli USA e via via gli altri, ciascuno con le sue piccole virtù e grandi difetti.
Tutti pronti a proclamare ideali di solidarietà e fratellanza, salvo poi muoversi in ordine sparso, in base alle convenienze locali – ed elettorali – del momento, tessendo di giorno e distruggendo di notte la tela europea, come Penelope in attesa non di Ulisse, ma di vedere un giorno l’Europa unita scendere dal cielo.
Adesso quel giorno è arrivato, con l’irruzione del terrorismo, piombato crudele sulle nostre città, blindate e sotto assedio, ed è urgente riprendere a tessere quella tela, sempre con i nostri antichi valori di riferimento, ma con un ritmo accelerato e molto più rigore, verso di noi e verso quelli che siamo in grado di accogliere, nuovi Paesi e nuove persone in fuga dalla guerra e dalla fame.
È troppo tardi, dirà qualcuno. Non è mai troppo tardi per promuovere la pace, in casa nostra e altrove nel mondo, ma cominciando dalle fondamenta: dalla lotta alle diseguaglianze e quindi dalla giustizia, senza la quale la solidarietà non basta.