L’estate, se mai ci fosse stata, sta finendo. Finiscono anche, lo si voglia o no, le vacanze per l’Unione Europea, rimasta colpevolmente inattiva a guardare quanto accade nel mondo e alle sue frontiere. Così fino praticamente all’altro ieri, quando le barbarie dei terroristi del Califfato e le orribili esecuzioni sommarie, le periodiche rotture di tregua nel conflitto israelo – palestinese e l’aggravarsi degli scontri militari in Ucraina hanno dato la sveglia anche all’UE, una non bella addormentata nel bosco.
Un primo risveglio si è visto attorno a ferragosto, quando ha cominciato a muoversi la Francia che, senza aspettare accordi europei e tanto meno dell’ONU, è corsa in aiuto dei curdi in Iraq, spedendo sul posto il suo ministro degli esteri, Laurent Fabius, a breve distanza dal suo collega tedesco, Frank – Walter Steinmaier.
Poco dopo, il 15 agosto, su iniziativa congiunta franco – italiana, di è riunito d’urgenza – si fa per dire – il Consiglio dei ministri degli esteri europei, giungendo alla conclusione “condivisa” che ogni Paese membro poteva decidere come meglio credeva a proposito di un sostegno militare ai combattenti curdi in lotta contro il Califfato. Non proprio una grande manifestazione di coesione politica, ma almeno un varco verso impegni concreti, non solo di aiuto umanitario, ma anche di supporti militari di difesa. Su quest’ultimo punto l’UE, priva di una politica estera e di sicurezza comune, non è in grado di fare molto, se non ricordarsi dei suoi valori fondativi, tra i quali la salvaguardia della pace e il rispetto dei diritti fondamentali.
Nell’UE, hanno deciso di muoversi anche con un sostegno militare ai curdi, già attivato da giorni dagli USA, la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia, dopo aver ottenuto l’accordo del Parlamento. Contrarie, tra i Paesi UE a fare arrivare armi in zone di guerra, Austria, Finlandia, Irlanda e Svezia. Dopo qualche comprensibile esitazione si è mossa anchela Germania, frenata da un passato militare che ancora le pesa.
Più attiva è stata la Germania sul fronte caldo dell’Ucraina e non solo perché si tratta di un Paese alle frontiere immediate dell’UE, ma più ancora perché su quel terreno si sta giocando il futuro delle relazioni con la Russia e, insieme, il ruolo di protagonista all’interno dell’UE. Un ruolo che la Germania già detiene negli affari finanziari ed economici e, più limitatamente, in quelli politici, allorché supplisce – magari anche favorendola – all’incapacità dell’UE di muoversi unita. Resta, e resterà ancora a lungo, la difficoltà della Germania a muoversi sul versante militare, che si presterebbe troppo a rianimare ricordi del passato e ad alimentare timori in Europa e non solo.
La visita di sabato scorso della Cancelliera Angela Merkel a Kiev è stata l’occasione per annunciare un consistente sostegno finanziario all’Ucraina e per invitare le parti alla moderazione, in vista dell’imminente incontro di Minsk tra UE, Ucraina e Putin. Dall’incontro di Kiev giungono almeno due messaggi: la volontà tedesca di assumersi maggiori responsabilità internazionali e la permanente impotenza dell’UE a farsene carico a nome dei Ventotto. Ancora una chiara riprova di che cosa ci si possa realisticamente aspettare dalla figura – specie se non largamente condivisa – dell’Alto Rappresentante per l’inesistente politica estera comune dell’UE. Ci vedremo più chiaro il prossimo 30 agosto, in occasione del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo.