Ritrovare credibilità in Europa

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La credibilità, che si tratti di una persona o di un Paese, è materia preziosa. Così accade anche per la credibilità dell’Italia in Europa: una storia antica, fatta di alleanze disattese, di impegni non onorati e di regole condivise e non rispettate. Alla fine tutto torna a galla e pesa anche sulla buona volontà di chi vorrebbe un ruolo di protagonista nell’Unione Europea, come accade in questi giorni per l’Italia, alla guida della presidenza in questo semestre europeo appena iniziato.

Non che il semestre di presidenza europeo sia un’occasione “storica” per far cambiare passo a un pachiderma lento come l’UE. Se si è bravi e credibili, si può provare a proporre delle priorità e gestire l’agenda dei lavori, oltre che approfittare degli appuntamenti istituzionali per dare visibilità al proprio Paese.

Dentro questi limiti angusti, resi anche più esigui dal calendario di un secondo semestre interrotto dalla pausa estiva, l’Italia sta provando a recuperare ruolo all’interno dell’UE: lo ha fatto con il discorso di Matteo Renzi davanti al Parlamento europeo, il tentativo di dialogo del nostro ministro degli esteri con Vladimir Putin e quello di mediazione nel conflitto israelo – palestinese e la rivendicazione di un portafoglio importante nella futura Commissione, con la candidatura di Federica Mogherini ad Alto Rappresentante per la politica estera. Una mossa un po’ azzardata di Renzi, è andato a sbattere contro una forte opposizione al Consiglio europeo del 16 luglio, provocando un rinvio di una serie di decisioni di cui l’UE ha bisogno con i focolai di guerra ai suoi confini e con una crisi economica e sociale che dovrebbe essere per tutti una priorità assoluta.

Né a oggi è andata meglio per l’Italia la battaglia sulla richiesta di maggiore flessibilità sui conti, dopo tutti questi anni di esasperato rigore. La risposta dei nostri partner è stata finora molto guardinga, Germania in testa, affiancata come da tradizione, da Olanda e Finlandia, ma anche da Spagna e Portogallo che non hanno avuto sconti sulle politiche del rigore e non ritengono si debbano cambiare le regole nel corso della partita. Né ci aiuta molto il sostegno di una Francia, forse anche più malata di noi e responsabile con la Germania, nel 2003, di aver violato allegramente quel Patto di stabilità che da tempo soffoca l’economia dei Paesi in difficoltà.

In questo clima, segnato dalle troppe promesse di Renzi e dalla poca fiducia dei suoi interlocutori, una nuova tegola è caduta sull’Italia, col rischio di rendere tutto ancora più difficile. La Commissione europea mantiene contro l’Italia la procedura di infrazione – una delle tante, più di un centinaio – relativa alla vicenda ormai antica delle quote latte, ingiungendo al governo italiano di recuperare dai produttori del latte 1 miliardo 395 milioni di euro, per le multe accumulate tra il 1995 e il 2009. Una brutta storia iniziata nel 1984 con l’introduzione delle “quote latte”, modificate nel 1992 e nel 2003, ma da molti ritenute penalizzanti per l’Italia. Un negoziato partito male, proseguito con qualche aggiustamento e concluso con infrazioni di grandi dimensioni da parte di alcuni produttori italiani, sotto la protezione del nostro governo di allora, in particolare con la complicità della Lega. Adesso i noti tornano al pettine e bisognerà pagare.

A parte l’aggravio per i conti dell’Italia – che rischia di pagare almeno parte di quanto non pagheranno i produttori di latte – è anche più grave l’ulteriore perdita di credibilità per l’Italia e per l’attuale governo, del tutto incolpevole, ma al quale spetta onorare gli impegni italiani.

Anche per evitare che al sospetto di parlare molto e realizzare poco, si aggiunga per l’Italia la gogna del Paese più “europeista” con il maggior numero di procedure di infrazioni a suo carico: non proprio un bel biglietto da visita per chi presiede in questi mesi l’Unione Europea, con esiti che si cominciano a vedere.

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