Riesplode il conflitto israelo-palestinese

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Dopo l’ultimo infuocato scontro tra Israele e Hamas del 2014, il conflitto israelo palestinese non ha mai smesso di covare sotto le ceneri di un impossibile processo di pace. 

Il conflitto è riesploso in modo brutale in questi ultimi giorni, portando a più di cento le vittime (in gran parte palestinesi) con un dispiegamento di razzi provenienti da Gaza e diretti su Israele e raid aerei da parte di Israele per colpire la Striscia di Gaza. Non solo, ma rimane in agguato anche la possibilità  di un’operazione di terra da parte di Israele, che ha già rafforzato la sua artiglieria al confine. Una prospettiva più che allarmante se si considera che la Striscia di Gaza, con i suoi 2 milioni di abitanti, è uno dei luoghi più popolosi al mondo, sotto blocco economico israeliano da più di tredici anni e quindi senza via d’uscita.

La miccia che ha dato fuoco alle polveri è partita anche questa volta da Gerusalemme con il dispiegamento militare israeliano nel luogo emblematico della spianata delle moschee e in un momento in cui si incrociavano, a pochi giorni di distanza, la festa del “Giorno di Gerusalemme” con cui gli  israeliani celebrano la riunificazione della città dopo la guerra del 1967, e la festa dell’Aïd che conclude il Ramadan per i musulmani. Non solo, ma la tensione era già alta a causa delle proteste palestinesi a Gerusalemme Est contro il possibile sfratto di decine di famiglie per fare posto a coloni israeliani. Da questa situazione è scattata a Gaza la reazione di Hamas e della Jihad islamica.

Poche per il momento le prospettive di un ritorno alla calma e ancor meno di un ritorno a premesse per riportare sui binari un qualsiasi negoziato di pace, malgrado le esortazioni dell’ONU ad una “de-escalation”. Questo nuova esplosione del conflitto si inserisce infatti in un contesto politico interno e internazionale in grande mutamento, che lascia sul terreno innumerevoli interrogativi per il futuro.

Per quanto riguarda Israele, l’instabilità politica e la rinnovata difficoltà di formare un Governo da parte di Netanyahu dopo le elezioni del 23 marzo scorso (non va dimenticato che negli ultimi tre anni, gli israeliani sono andati alle urne ben quattro volte) ha rivelato una progressione della destra e della destra estrema con il loro corteo di integralisti religiosi, in affanno sulle soglie del potere e non certo disposti a cedere terreno e dialogo con i Palestinesi. Non solo, ma per la prima volta si assiste anche a inusuali conflitti nelle “città miste”, quelle città in cui arabi e israeliani avevano trovato, più o meno, un modus vivendi accettabile per tutti. 

Sul fronte palestinese la frustrazione è grande, a partire dalle divisioni interne fra Hamas e Fatah e, qui ultimamente, dall’annullamento delle elezioni previste a maggio, elezioni che non si tenevano più da quindici anni. Dietro a questa situazione si schierano giovani palestinesi che riflettono sul loro futuro, sui loro diritti, sulla ormai remota possibilità di una soluzione a due Stati, giovani che vogliono ricordare al mondo intero che l’occupazione israeliana esiste e continua con la legge del più forte e riduce in cenere ogni prospettiva di soluzione dignitosa e giusta. 

A livello internazionale e regionale il conflitto israelo-palestinese è stato in parte messo in ombra con l’insorgere di altri conflitti, in particolare in Siria, nello Yemen o in Libia. L’amministrazione Trump ha tentato, da una parte, un provocatorio e umiliante piano di pace nei confronti dei Palestinesi e dall’altra ha ideato e sponsorizzato a caro prezzo quegli Accordi di Abramo che ignorano quasi completamente un possibile impegno per la pace da parte araba.

Ma quale futuro, quali prospettive per la pace? Se Biden non sembra molto incline a spendersi su questo fronte e l’Unione Europea non trova forza e coraggio, la recente storia della Siria e della Libia in particolare, ci insegnano che Russia e Turchia hanno invece gli occhi puntati su questo conflitto.

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