Quelli che in Europa vanno di traverso

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Aveva probabilmente ragione quel provocatore di Altiero Spinelli, visionario ispiratore del federalismo europeo, quando già negli anni ‘40 annunciò alle generazioni future che in Europa non ci si sarebbe divisi tra destra e sinistra, ma tra europeisti e sovranisti. Al netto di una voluta semplificazione che tralascia le molte zone grigie della politica, quella di Spinelli può essere un’utile chiave di lettura per capire che cosa sta capitando nel campo delle destre e quello che non sta capitando in quello delle sinistre europee.

Si potrebbe partire da una domanda semplice: quali possono essere gli interessi politici che la destra italiana, dalla Lega a Fratelli d’Italia, condivide con quella polacca e ungherese, al punto di pensare di poter creare una “internazionale sovranista”, che già di suo è un po’ una contraddizione in termini? Più brutalmente: che cosa possono ricavare per la loro “Patria” le destre italiane da un’alleanza con regimi ostili ad ogni solidarietà che si tratti di migranti o di sostegni al rilancio dell’economia? E ancora: quale aggregazione omogenea nel Parlamento europeo sono in grado di costruire destre presunte “moderate” con forze politiche estremiste, unite solo nell’impegno ad ostacolare il processo di integrazione europea?

Viene il sospetto che la risposta vada cercata più nella politica interna dei singoli Paesi che non nella politica comunitaria, dalla quale questi ricevono generosi benefici nonostante che, dove sono al potere come in Polonia e Ungheria, infrangano allegramente gli accordi sottoscritti con i Trattati.

I tentativi in corso della Lega di promuovere se non un nuovo gruppo politico al Parlamento europeo, almeno una qualche forma di federazione tra euroscettici attualmente raccolti il due gruppi – “Identità e democrazia”, presieduta da Giorgia Meloni, e “Conservatori e riformisti europei” cui appartiene la Lega – stentano ad arrivare in porto.

L’operazione, condotta alla vigilia della designazione a gennaio della nuova Presidenza del Parlamento europeo, deve fare i conti in Italia con la competizione tra Lega e Fratelli d’Italia, la prima al governo l’altra all’opposizione e in Europa con una galassia di destre euroscettiche prive di una visione strategica che le possa davvero aggregare.

A qualcuno verrebbe da dire che se così vanno le cose a destra, allora le sinistre possono stare tranquille. Probabilmente sarà vero per consentire alle forze europeiste di mantenere in questa legislatura le posizioni di potere conquistate dopo le elezioni  del maggio 2019, ma rischia di essere meno rassicurante per tempi più lunghi durante i quali le sinistre, progressisti e moderati dovranno mettere mano a una revisione dei Trattati, operazione difficile che necessita di larghi consensi e di una capacità progettuale per il futuro dell’Unione di cui non si vede ancora traccia. Ne è una prova, tra le altre, il fiacco andamento della Conferenza sul futuro dell’Europa e l’incapacità di trovare insieme un “soprassalto federale” che conduca, in tempi non biblici, a un’Unione politica se non tra tutti i Ventisette Paesi UE, almeno con chi ci sta, quelli fondatori in testa. 

Molto di questo futuro si giocherà prevalentemente in tre Paesi fondatori: Germania, Francia e Italia. Nella prima si annuncia un governo a trazione europeista ma frenato dai liberali, in Francia resta intatta l’incognita delle future elezioni presidenziali a maggio prossimo e in Italia pesa l’incertezza sul futuro del Quirinale e di un governo oggi di larga maggioranza ma di scarsa coesione, con la Lega nella scomoda posizione di dover sottostare all’europeismo di Mario Draghi e non perdere consensi in favore di Fratelli d’Italia. 

Alla fine c’è da augurarsi, se non altro per chiarezza, che valga la profezia di Spinelli: il futuro del nostro continente si giocherà tra quanti, come progressisti e moderati, spingono verso un’Europa federale e quanti viaggiano con il freno tirato della nostalgia del passato e con l’ossessione identitaria in un mondo ormai diventato un villaggio globale dove molte identità sono chiamate non a confliggere ma a convivere, se si vuole salvaguardare la pace. 

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