Quella strana “coppia europea” a Pechino

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A che cosa sia servito l’incontro della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e del presidente francese Emmanuel Macron, con il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping lo diranno i fatti che seguiranno negli sviluppi futuri della guerra della Russia all’Ucraina. Ma è già fin d’ora interessante riflettere a quell’enorme tavolo rotondo attorno al quale  erano seduti, in apparente equidistanza, i tre personaggi in questione.

A quel tavolo dominava un grande Paese emergente avviato a diventare la prima potenza mondiale e, di fronte ad esso, due dei molti leader della “piccola Europa”, quella che Paul Valéry definì un “promontorio dell’Asia”.

Si confrontavano due plurisecolari civiltà, culture in dialogo intermittente tra di loro, memorie di conflitti armati, economie ormai interconnesse e in competizione, regimi politici tra loro agli antipodi e già tutto questo rendeva quel tavolo meno rotondo di quanto potesse apparire.

Ma forse ancora meno rotondi e equidistanti apparivano i rapporti tra i due responsabili europei: da una parte il presidente della “nazione” francese, con al seguito uno stuolo di imprenditori di alto livello; dall’altra, solitaria, la presidente della “comunità europea in formazione”, ma anche titolare di una responsabilità condivisa in materia di politica commerciale comunitaria.

Entrambi gli europei erano a Pechino per sollecitare la Cina ad assumere iniziative in favore della pace in Ucraina, ma il francese anche a concludere importanti affari per l’economia del suo Paese, mentre la presidente della Commissione europea segnalava al presidente cinese le riserve dell’Unione Europea a proseguire sulla strada della cooperazione economica in assenza di un riequilibrio della bilancia commerciale tra Cina e UE e del rispetto delle regole e dei diritti convenuti nelle sedi internazionali, come aveva già avuto modo di far valere qualche giorno prima del suo viaggio.

Viene naturale a questo punto chiedersi chi in quella coppia rappresentasse chi. 

Certamente Macron rappresentava la Francia, come prima di lui avevano rappresentato le loro “nazioni” il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente del governo spagnolo Pedro Sanchéz, tutti andati recentemente in processione dal nuovo imperatore cinese.

Ma chi rappresentava Ursula von der Leyen che una “nazione europea” non aveva da rappresentare, ma solo una “Comunità”, da settant’anni ancora incompiuta, con una legittimità democratica mediata da un Parlamento a sua volta con limitati poteri? 

I maligni avranno apprezzato che almeno non ci fosse a Pechino, con la presidente della Commissione, quel Charles Michel, presidente del Consiglio europeo che, nell’incontro con Erdogan ad Ankara nell’aprile del 2021, a Ursula von der Leyen non cedette nemmeno il posto a sedere. Il tutto a conferma che quando si tratta di rappresentare l’Unione Europea qualche problema c’è, in particolare tra i responsabili dei governi membri e quelli della Commissione europea, la cui vocazione a diventare un “governo comunitario” ha ancora molta strada in salita da fare.

Non sembrino queste considerazioni di “lana caprina”, in particolare quando si confrontano poteri in competizione o, peggio, in conflitto: ne va dell’impatto dei reciproci rapporti di forza, nervo sensibile della politica, in particolare di quella internazionale.

Osservazioni che, con i tempi che corrono, potrebbero stimolare anche qualche riflessione sulla  presenza nel Consiglio di sicurezza dell’ONU di due Paesi europei, Francia e Regno Unito, per nulla disposti a cedere il posto a sedere all’Europa, la quale finisce per pesare poco a fronte degli altri tre membri, USA, Cina e Russia, e le conseguenze si vedono.

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