Quando Trump vuole cambiare le regole del mercato mondiale

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Il 2 agosto, le televisioni di tutto il mondo hanno colto il momento in cui Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo sui nuovi dazi doganali che non lascerà più dormire sonni tranquilli ai responsabili politici di  circa settanta paesi. La sua solita firma vistosa, la solita riconsegna della penna ad uno dei consiglieri appostati alle sue spalle, la solita tracotanza nel mostrare al mondo il decreto della sua prepotenza e della sua superiorità nei confronti delle regole del commercio internazionale. 

Presentato, da un punto di vista economico e finanziario come l’inizio di una nuova “golden age” per gli Stati Uniti, l’ordine esecutivo nasconde tuttavia vecchi e nuovi rancori politici del Presidente, visibili soprattutto nelle dichiarazioni dello stesso Trump per giustificare il tenore dei nuovi dazi a seconda del Paese colpito. Entreranno in vigore il prossimo 7 agosto. 

Al di là, infatti, dei dazi imposti all’Unione Europea del 15% e di tutte le critiche scritte o formulate nei confronti di un negoziato dai risultati incerti e, in parte scontati e imposti, altri Paesi hanno avuto una sorte simile, se non peggiore, di quella di Bruxelles. 

Il Canada, ad esempio, si è visto imporre dazi del 35%, cosa che mette in serio pericolo l’economia del Paese e numerosi posti di lavoro. In un contesto in cui i rapporti fra Stati Uniti e Canada sono estremamente tesi, si tratta, in particolare, di una decisione che interviene all’indomani della dichiarazione del Canada di unirsi a quei Paesi che in settembre riconosceranno lo Stato di Palestina. Non solo, ma il Presidente Trump rimprovera ad Ottawa di non essere abbastanza determinata a lottare contro i flussi migratori. 

Un altro Paese vittima dei malumori politici di Trump è il Brasile, con dazi su alcuni prodotti che raggiungeranno il 50%, uno dei provvedimenti più severi in ambito commerciale. Alcune delle ragioni di una tale decisione si ritrovano negli attacchi della Casa Bianca alla Corte suprema brasiliana in merito al “procedimento giudiziario per motivi politici nei confronti dell’ex Presidente brasiliano Jair Bolsonaro”. Una giustificazione gravissima che ha immediatamente spinto il Presidente Lula a dichiarazioni di difesa della sovranità del suo Paese. 

La Svizzera, piccolo Paese pacifico disteso nel cuore delle Alpi, si è visto imporre unilateralmente dazi molto elevati del 39% con la giustificazione di una bilancia commerciale ritenuta sfavorevole agli Stati Uniti e con l’accusa di trasferimento d fondi verso i Paesi asiatici.  Nel cuore di un Medio Oriente in piena trasformazione, interrogano invece i dazi imposti alla Siria del 40%, Paese in fragile transizione politica e recentemente liberata da pesanti sanzioni economiche da parte dello stesso Presidente Trump. Colpiti anche Paesi africani e in modo particolare l’Africa del Sud, la più grande economia del continente, con dazi del 30% su tutti i suoi prodotti. 

Dazi doganali quindi usati anche come arma geopolitica. Interrogano al riguardo anche quelli imposti all’India del 25%, colpevole di acquistare petrolio dalla Russia. La Cina invece è ancora al riparo dai dazi americani, in attesa per Trump di definire un futuro accordo economico che allontani Pechino da Mosca.

Sebbene quasi tutti i Paesi colpiti sperino ancora di poter rinegoziare i dazi imposti da Trump, dazi che sconvolgono l’ordine economico globale, resta il fatto che stanno saltando tutte le regole che erano alla base del commercio internazionale dalla Seconda Guerra Mondiale. E questo accade proprio in un periodo di crescenti tensioni geopolitiche, dove un sistema commerciale basato su regole è più che mai necessario.

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