Quale 2006 per l’Unione europea?

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L’Unione europea si lascia alle spalle un 2005 che verrà   probabilmente ricordato come uno degli anni più difficili della sua storia. E già   alcuni raffronti sono stati proposti: dalla crisi degli inizi, quando non andಠin porto la transizione dalla Comunità   Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) alla Comunità   Europea della Difesa (CED), alla crisi degli anni ’60 con la politica della «sedia vuota» praticata da De Gaulle in difesa della sovranità   della Francia e poi la crisi del primo allargamento in coincidenza con la crisi energetica degli anni ’70, la conflittualità   permanente durante il governo della Thatcher negli anni ’80, i brividi fatti correre negli anni ’90 con i referendum danese e francese sul Trattato di Maastricht e via via fino ai nostri giorni in un’altalena di alti e bassi che non ha mai smesso di oscillare. Insomma, una storia che per tanti versi assomiglia a quella che, in un concentrato molto denso, abbiamo vissuto nel corso dell’anno che si è appena concluso: verrebbe voglia di dire che ancora una volta non c’è niente di nuovo sotto il sole. Ma sarebbe un errore, perchà© la crisi del 2005 si è sviluppata in un contesto del tutto diverso da quello dei decenni precedenti e potrebbe, se dovesse prolungarsi troppo a lungo, avere esiti ben più negativi.
La crisi Ue del 2005 nel nuovo contesto mondiale.
Molti avvenimenti hanno cambiato il mondo in questi ultimi anni: dalla caduta del muro di Berlino nel 1989 e la successiva dissoluzione dell’URSS alla globalizzazione instabile e non governata multilateralmente che ne è seguita, dall’attentato alle Torri gemelle a New York nel settembre del 2001 alle nuove conflittualità   innescate nel mondo e di cui la guerra in Iraq è traduzione eloquente; dall’emergenza della Cina e dell’India che sposta il baricentro della futura economia verso l’Asia ai periodici fallimenti dei negoziati commerciali nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) fino all’aggravarsi – ma le cose sono legate – delle condizioni di vita nei Paesi che è ormai ipocrita chiamare in via di sviluppo, soprattutto se si guarda all’Africa.
Quale la reazione dell’Unione davanti ad avvenimenti di così grande rilievo? L’ultimo decennio registra risposte importanti dell’UE: dalla creazione della moneta unica degli anni ’90, agli allargamenti del 1995 ad Austria, Finlandia e Svezia e nel 2004 ai dieci nuovi Paesi dell’Est e del Mediterraneo fino alle coraggiose decisioni di aprire i negoziati di adesione con Turchia, Croazia e Macedonia. Ma di tutti i tentativi di risposta, il più importante è stato quello di dar vita ad un processo costituzionale europeo per mettere l’Unione in grado di governarsi a 25 e di affrontare le nuove sfide che il mondo le impone. E purtroppo è proprio qui che il motore si è «imballato»: i due No dei referendum francese e olandese hanno di fatto imposto una sospensione del processo di ratifica nonostante i quindici Sì degli altri Paesi che si sono espressi fino ad oggi e bisognerà   ancora attendere prima che si possa ripartire alla ricerca di una soluzione. E questo proprio in una stagione del mondo che avrebbe un grande bisogno di un’Unione europea con un profilo politico forte, capace di governare le sue economie in difficoltà   e ispirare le regole del commercio mondiale. Nà© è stata positiva la vicenda del futuro bilancio 2007-2013 appena conclusa con risultati molto modesti e con profonde ferite alla solidarietà   tra i Paesi dell’UE.
Che cosa ci aspetta nel 2006?
Per l’anno che comincia verrebbe da dire che non puಠche andare meglio, ma sarebbe alto il rischio di un’illusione. Il 2006 si apre con l’Austria alla guida dell’Ue per un semestre: è tradizione che i Paesi «piccoli» ottengano spesso risultati migliori perchà© meno appesantiti che non i «grandi» dagli interessi nazionali e soprattutto perchà© hanno tutto da guadagnare dall’essere associati ad un’Unione più forte. Purtroppo perಠla regola ha cominciato a soffrire più di un’eccezione: il caso degli insuccessi dell’ottima presidenza lussemburghese del primo semestre 2005 lo ha dimostrato. Cresciuta nell’Ue la dimensione intergovernativa, è diventato difficile trovare un consenso davanti all’opposizione di Paesi come la Gran Bretagna e la Francia o al disimpegno della Germania di Schroeder. E così per provare ad anticipare il futuro è proprio da questi Paesi che bisogna cominciare, anche perchà© sono quelli dove si annunciano importanti novità  . In Gran Bretagna si avvia a conclusione il lungo regno di Blair a cui si prepara a succedere quel Gordon Brown, guardiano degli interessi inglesi anche più di Blair e di questo sicuramente ancor meno europeista. In Francia volge ad un triste tramonto il regno di Chirac, sovrano francese con velleità   europee, e si annuncia una successione incerta ma che rischia di premiare nelle elezioni del 2007 sensibilità   politiche non proprio favorevoli ad un’accelerazione dell’Europa politica e che comunque dovranno fare i conti con il No referendario. Una novità   importante – e positiva per l’Europa – è perಠvenuta dalla Germania con la recente elezione al Cancellierato di Angela Merkel. Il suo esordio nel Consiglio europeo non è passato inosservato ed è stato decisivo per venire a capo del negoziato avvelenato sulle prospettive finanziari 2007-2013. Nà© meno importanti politicamente gli impegni presi sul rilancio del processo costituzionale che potrebbe avvenire nel primo semestre 2007, quando la Merkel assumerà   la Presidenza dell’Ue in coincidenza con l’elezione del nuovo Presidente francese.
Nel frattempo ci saranno state le elezioni in Italia, Paese fondatore dell’Ue che da tempo manca all’appello tra i protagonisti delle politiche europee, che anzi sembra più sabotare che promuovere come ci ricordano le prolungate infrazioni al Patto di stabilità   e la denuncia dell’euro come capro espiatorio di incapacità   tutte italiane.
Spesso in passato è avvenuto che le elezioni del Parlamento europeo abbiano avuto una dimensione esclusivamente nazionale. Magari per riparare sarebbe auspicabile che le imminenti elezioni nazionali avessero anche positive ricadute europee e che consentano a questo nostro Paese di tornare a contare in Europa. Ne ha bisogno l’Europa e ne abbiamo urgente bisogno noi.

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