Politiche migratorie nell’UE

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Un utile esercizio per chiarire le responsabilità nella gestione del fenomeno migratorio comincia dal definire le competenze dell’UE in materia. I Trattati prevedono tre categorie di competenze: esclusive, concorrenti e di sostegno. A una prima lettura in nessuna delle tre categorie vi è una chiara traccia delle politiche migratorie, intendendo con queste i flussi in provenienza dall’esterno dell’UE. 

Cercando tra le righe del Trattato di Lisbona risulta che lo sviluppo di una politica comune di immigrazione è considerata una competenza concorrente (tra Stati nazionali e UE) e rientra nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, distinta dalla competenza relativa ai controlli alle frontiere e in materia di asilo.

Come spesso accade con le competenze concorrenti le responsabilità sono fluttuanti tra quelle degli Stati nazionali e l’UE, qualcosa che “non è né carne né pesce”, anche se si intravvede nei Trattati una tendenza a far crescere le competenze dell’Unione, almeno con riferimento agli obiettivi da conseguire.

Per provare a riassumere: non esiste oggi una politica comune UE in materia di immigrazione, ma vi sono nei Trattati elementi che potrebbero consentirne uno sviluppo futuro, senza dimenticare però le resistenze che in proposito manifestano i governi nazionali.  

Un’occasione per stimolare sviluppi positivi in materia potrebbe venire da una nuova politica di asilo, favorita anche dall’impegno della nuova Commissione per “una nuova partenza in materia migratoria”, come dichiarato dalla sua Presidente, Ursula von der Leyen.

Si tratta di un tema particolarmente sensibile, in particolare per i Paesi con confini sotto pressione migratoria come l’Italia.

Nel programma della nuova Commissione si legge di “un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, compreso il rilancio della riforma delle procedure di Dublino in materia di asilo”. 

L’impegno sembra però rapidamente raffreddarsi a contatto con “questo tema spinoso e controverso” e non è un caso che subito dopo si dica che “abbiamo bisogno di frontiere esterne forti” e si proponga un rafforzamento delle guardie costiere di Frontex: dispositivo necessario ma lungi da essere sufficiente per rispondere a una sfida strutturale come quella della crescente mobilità internazionale. 

E difatti il programma prosegue evocando la necessità di modernizzare il nostro sistema di asilo, perché “le nostre frontiere esterne saranno stabili solo se daremo un aiuto sufficiente agli Stati membri che sono più sotto pressione a causa della loro situazione geografica”. E non manca l’impegno ad assumere le nostre responsabilità a cominciare dai Paesi di origine di coloro che giungono in Europa, puntando “in maniera decisa a migliorare le prospettive dei giovani nei loro Paesi di origine… investendo nella salute, nell’istruzione e nelle competenze, nelle infrastrutture, nella crescita sostenibile e nella sicurezza”. 

Nobili parole – “vaste programme”, avrebbe detto con una punta di sarcasmo il Generale De Gaulle – come quelle che evocano un “approccio più sostenibile in materia di ricerca e salvataggio”.

Due gli interrogativi principali che sorgono a questo punto: chi sarà il titolare di queste responsabilità e con quali risorse affrontare i costi di queste operazioni?

Con i Trattati attuali bisognerà forzare molto per far risalire le responsabilità all’ancora inesistente “sovranità europea” in materia e per reperire le risorse necessarie nel bilancio dell’Unione, che su questo versante resta marginale nonostante qualche incremento e l’inclusione degli interventi per la cooperazione allo sviluppo nel bilancio comunitario.

Viene in mente l’immagine brutale di Karl Kraus quando evocò il gesto di chi “brandisce un coltello senza manico cui manca la lama”: sarà necessario andare alle radici del problema e darsi strumenti efficaci per intervenire, cominciando dalla costruzione di una politica estera comune dell’UE per affrontare il problema alle origini, senza la quale non vi può essere politica migratoria comune. 

Lo suggerisce anche l’impegno, pure coraggioso, contenuto nell’ultimo capitolo del programma, a “procedere verso un pieno potere di codecisione per il Parlamento europeo e l’abolizione dell’unanimità per le politiche in materia di clima, affari sociali e fiscalità”. 

Il tema di una politica comune in materia migratoria non appare nella lista né basterebbe andarlo ad estrarre a valle dalla politica sociale quando il problema è chiaramente a monte. E inevitabilmente in salita.

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