Più democrazia nell’UE per vincere la pace

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Sta diventando sempre più difficile capire nella politica, tanto nazionale che europea, chi porta le responsabilità delle decisioni prese, come richiesto da una regola fondamentale della nostra vita democratica.

Particolarmente difficile di questi tempi tormentati di guerra valutare le responsabilità di quanto accade nello spazio occidentale democratico, in particolare sulle due sponde dell’Atlantico. Tralasciamo la confusione che regna negli USA alla vigilia delle elezioni del prossimo 5 novembre, bastandoci quella che viviamo nella nostra comune casa Europa, dove un quadro istituzionale singolare rende talvolta anche più complicato individuare le responsabilità, spesso rimpallate tra i diversi attori in un permanente gioco di scaricabarile.

Cominciamo ricordando che l’assetto istituzionale UE è lontano dal rappresentare una democrazia compiuta tra i Paesi che la compongono, con un Parlamento europeo ancora limitato nel suo ruolo di legislatore e in un contesto generale dove anche i Parlamenti nazionali stentano ad affermare la propria voce dinanzi allo straripamento costante del potere esecutivo.

Merita a tale proposito una particolare attenzione in questi giorni il protagonismo, non privo di sapore pre-elettorale, di Ursula von der Leyen, giunta inaspettatamente nel 2019 alla presidenza della Commissione europea, grazie a un’intesa franco-tedesca; una protagonista di questa legislatura UE, di nazionalità tedesca, già ministro della difesa, si segnalò fin dall’inizio per la sua forte e coraggiosa iniziativa in favore della politica ambientale e per la buona gestione sul versante sanitario ed economico in risposta alla pandemia da Covid-19.

L’esplosione di due guerre, quella russa del 2022 e quella israelo-palestinese del 2024, ne hanno accresciuto il protagonismo, a tratti eccessivo e fuori misura rispetto ai delicati equilibri interni alle Istituzioni UE, come nel caso di una prima discutibile presa di posizione in favore di Israele, al punto da essere stata richiamata all’ordine da parte dei governi nazionali. 

Più recentemente, a fronte della “marcia dei trattori” su Bruxelles non ha perso tempo a mostrarsi molto disponibile verso un elettorato vicino al suo partito di provenienza, derogando a misure di salvaguardia dell’ambiente, sua bandiera di legislatura, e mercoledì scorso davanti al Parlamento europeo ha alzato i toni e il livello di allerta contro la minaccia russa, anticipando alcune iniziative della Commissione annunciate per i prossimi giorni. 

Tra queste, misure per “ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri”, grazie ad appalti industriali e maggiori finanziamenti per l’industria bellica, la creazione – non si sa con quali poteri effettivi – di un Commissario alla difesa, competenza non ancora europea, l’apertura di un ufficio UE a Kiev e l’utilizzo dei beni sequestrati ai russi per sostenere la lotta armata dell’Ucraina.

Premesso che è nei compiti della Commissione il diritto/dovere di iniziativa, resta da capire quanto questa sia frutto dall’ascolto dei diversi soggetti politici e sociali dell’UE, nel rispetto di una vita democratica regolata dal Trattato di Lisbona al Titolo II, con il coinvolgimento di Istituzioni e società civile.

Sullo sfondo pesa come un macigno l’irrisolta questione di una legittimità democratica diretta della Presidenza della Commissione, frutto di affidamento di responsabilità mediate dai governi nazionali, in particolare da quelli dotati di maggiore forza politica ed economica, e con una limitata capacità di intervento da parte del Parlamento europeo.

Contro questo scoglio si tornerà a sbattere all’indomani delle elezioni di giugno, quando si tratterà di assegnare le poltrone ai vertici delle Istituzioni UE, in particolare nel gioco intrecciato delle presidenze di Commissione, Consiglio  e Parlamento europeo.

Resta ancora molto da fare nell’UE, prima di dare lezioni di democrazia.

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