Palestina, un calvario per l’esistenza

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Fra le macerie di un processo di pace che, da anni, ha sempre più il sapore di un illusorio negoziato fra le parti, la Palestina continua la sua strada diplomatica per richiamare l’attenzione internazionale sul suo diritto ad esistere. In un contesto mediorientale estremamente turbolento e pericoloso e in un crescendo di scontri e violenze fra Israeliani e Palestinesi, il Presidente palestinese Mahmoud Abbas prosegue con tenacia il suo solitario cammino che dovrebbe condurre alla pace e al riconoscimento dello Stato di Palestina. Solitario perché, malgrado il sostegno da parte della comunità internazionale per una soluzione a due Stati, il recente riconoscimento dello Stato di Palestina votato da alcuni Parlamenti europei, nonché deciso dal Governo svedese, il recente messaggio dell’Alto Rappresentante UE Federica Mogherini che auspica che “ la nascita di uno Stato palestinese può aiutare la pace, e deve realizzarsi in tempi rapidi e certi”, la risoluzione che Abbas, tramite la Giordania, ha presentato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e votata il 30 dicembre scorso, non è stata approvata.

La proposta di risoluzione conteneva, in particolare, un calendario per giungere “ad una pace globale, giusta e durevole” entro un anno, il ritiro dei soldati israeliani dai Territori palestinesi entro la fine del 2017 e Gerusalemme Est come capitale del nuovo Stato palestinese. Niente di nuovo, a parte le scadenze proposte, rispetto ai termini di base sui quali dovrebbero svolgersi i negoziati di pace, riconosciuti da gran parte della comunità internazionale. Ma l’iniziativa palestinese ha ricevuto l’ opposizione dell’Australia e quella scontata degli Stati Uniti nonché l’astensione di altri 5 membri del Consiglio di Sicurezza (Nigeria, Ruanda, Regno Unito, Lituania e Sud Corea). Per essere adottata avrebbe dovuto raggiungere 9 voti a favore, ne ha avuti solo 8 (Francia, Cina, Russia, Argentina, Ciad, Cile, Giordania e Lussemburgo). Un’ulteriore umiliazione più che una sconfitta per i Palestinesi e la chiara percezione di una politica miope e contradditoria da parte in particolare degli Stati Uniti, uno dei Paesi che si è sempre prestato a sostenere negoziati di pace purché non disturbassero Israele. E intanto, Israele, che si avvia ad elezioni anticipate nel marzo prossimo, continua la sua politica dei fatti compiuti, moltiplicando l’espansione delle colonie nei Territori occupati e a Gerusalemme Est, rendendo sempre più precaria la prospettiva della costituzione di due Stati e di conseguenza della pace. Senza dimenticare la puntuale minaccia di sanzioni economiche nei confronti dell’Autorità Palestinese.

Su questo risultato, Mahmoud Abbas, che ha sempre perseguito l’obiettivo di una soluzione negoziata con Israele e deciso tuttavia, in mancanza di prospettive, ad andare avanti unilateralmente per il riconoscimento della Palestina, ha fatto un ulteriore passo avanti, firmando la richiesta di adesione alla Corte penale internazionale e ad altre convenzioni internazionali. Un gesto che si inserisce non solo nella scia del percorso internazionale di riconoscimento, ma che, se la richiesta verrà accolta, potrebbe aprire nuovi scenari nelle relazioni fra Israele e la Palestina. Magari influenzando l’intransigente comportamento politico dimostrato finora da Israele.

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