Migranti: per l’UE una prova di verità

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Le vicende migratorie sono storia antica per l’Europa: per i flussi che nei secoli l’hanno popolata e cambiata, per quelli del secolo scorso che hanno visto molti dei suoi cittadini partire verso altre regioni del mondo e per quelli che l’Europa è andata via via ospitando, avvalendosi del loro lavoro per il suo sviluppo.

Diversa, e in parte inedita, la dinamica migratoria di questi ultimi anni e di oggi. Non solo per le dimensioni numeriche destinate probabilmente a dilatarsi, ma anche perché questi flussi provengono prevalentemente da Paesi fuori dai confini europei, spesso lontani come nel caso dell’Africa e dell’Asia o da Paesi in guerra, come accade per la vicina turbolenta area mediorientale. Ma è anche un fenomeno politicamente inedito per l’Unione Europea, dove approdano in massa migranti e profughi, trovando sulla loro strada muri e reticolati come mai era accaduto prima.

E questo avviene in un’Unione Europea che aveva, negli ultimi vent’anni, generosamente allargato i suoi confini, prima a nord (nel 1995 a Svezia, Finlandia e Austria) e poi a inizio secolo a una decina di Paesi a est, scoprendo adesso che sono proprio questi Paesi, e con loro la Gran Bretagna, in prima fila a rifiutare l’ingresso e la ricollocazione dei profughi, lasciando che tutta la pressione sia a carico di Paesi del sud, Grecia e Italia in particolare.

Tra questi due fronti galleggiano imbarazzate Germania e Francia. Angela Merkel in difficoltà a onorare le sue dichiarazioni in favore dell’accoglienza dei profughi, alle prese con il brutto accordo negoziato per l’UE con la Turchia e sorda a proposte di superamento dell’emergenza con investimenti di lungo periodo, come saggiamente proposto da Matteo Renzi.  Alla Germania fa compagnia la Francia, prigioniera di un Paese in declino a immagine del suo pallido presidente, con una politica estera che si barcamena penosamente, come nel caso dell’Egitto e della Libia, senza troppo vergognarsi di quanto avviene nella “giungla” di Calais.

Per chi ancora non se ne fosse accorto si sta ridisegnando per sottrazione la nuova carta dell’Unione Europea. Se dai ventotto Paesi membri attuali si sottraggono i nove che non fanno parte dell’euro, avendo rinunciato a un importante trasferimento di sovranità in favore dell’UE e, se quelli che restano vengono selezionati con il criterio del rispetto dell’accordo di Schengen, ci si accorge che non saranno molti i Paesi che potranno accompagnare i sei Paesi fondatori in una nuova e più coraggiosa avventura di integrazione europea.

Viene spontaneo chiedersi a questo punto che ne sarà dell’Italia, che obbedisce a tutti i criteri citati per fare parte del nucleo duro della futura Unione Europea, a probabile trazione tedesca, ma in una squadra riequilibrata al centro e al sud dell’Europa: un’Europa carolingia allargata, con l’Italia meno periferica di quanto lo sia adesso.

Questa transizione, non necessariamente di breve periodo, può aiutare a capire le posizioni che va prendendo il governo italiano: da una parte difendendo strenuamente, debito pubblico permettendo, la sua partecipazione all’euro e la salvaguardia di Schengen; dall’altra, cercando di alleggerire la pressione alle nostre frontiere, che sono anche quelle dell’UE, proponendo investimenti per lo sviluppo dei Paesi africani da cui partono i migranti e cercando di mettere in sicurezza uno Stato fallito come la Libia.

Queste proposte appartengono all’azione politica del Governo, ma trovano un chiaro riscontro nelle ripetute prese di posizione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ancora nel recente vertice bilaterale con il collega tedesco Joachim Gauck a Torino ha ricordato che “Non basteranno i muri a proteggerci se l’Europa non farà passi avanti come progetto comune. Abbiamo lavorato settant’anni per abbattere i muri che dividevano l’Europa: non lasciamo che rinascano, creando diffidenza e tensioni pericolose laddove, al contrario, servono coesione e fiducia”. Un appello simile a quello lanciato da papa Francesco dall’isola di Lesbo, che all’Europa ha chiesto di ritrovare i suoi valori originari, costruendo ponti perché i muri creano tensioni e, prima o poi, conflitti.

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