Mediterraneo orientale in tempesta

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Si addensano sempre più le nubi sul Mediterraneo orientale, portando la tensione fra Grecia e Turchia alle stelle. Due Paesi membri della NATO che condividono una lunga storia di conflitti e che si riaffrontano in queste settimane nelle acque di un mare rivelatosi, ormai da alcuni anni, ricco di gas. Un mare sul quale sono state delineate delle frontiere di interesse economico labili, che si estende su una vasta zona e che coinvolge non solo Grecia e Turchia, ma anche Cipro, Egitto, Israele, Libano e Gaza. Una zona quindi dove le tensioni geopolitiche sono già numerose e dove le potenze regionali si affrontano non solo sul versante energetico ed economico, ma anche su quello politico e di supremazia mediorientale.

Ed è proprio in questo contesto e per lo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale che si sta giocando, nelle zone marittime al largo di Cipro, un braccio di ferro fra Ankara e Atene, con accuse di ingerenze e illegittime incursioni, con dispiegamento di navi militari che si affrontano alquanto pericolosamente.  

Ma dietro a questa impennata bellicosa, che chiama direttamente in causa, attraverso Grecia e Cipro, anche Francia, Germania e Italia e  l’intera Unione Europea, si possono identificare alcune delle ragioni che spingono Erdogan a soffiare sul fuoco delle ostilità, ragioni che non si limitano agli aspetti energetici o alla politica estera, ma hanno molto a che fare anche con una complicata situazione di politica interna.

In primo luogo la Turchia è quasi totalmente dipendente dall’importazione di gas per il suo consumo, gas che acquista in gran parte dalla Russia e che la rende oltremodo dipendente dal potente vicino.  Esclusa, in questi ultimi anni dall’esplorazione delle acque intorno a Cipro, Israele ed Egitto e volendo ridurre non solo la dipendenza dalla Russia e l’isolamento in cui si ritrova ma anche recuparere un ruolo di leadership nella regione, Ankara ha puntato gli occhi sulle acque greche e cipriote. In particolare, per il fatto che non riconosce la Repubblica di Cipro in quanto Stato, ma riconosce (unica al mondo) la Repubblica turca di Cipro del Nord, la Turchia rivendica per sé lo sfruttamento delle risorse situate proprio a nord dell’isola. In gioco inoltre, la prospettiva di partecipare ai progetti di pipelines che condurranno il gas in Europa, come ad esempio il progetto EastMed. 

Non mancano tuttavia, in questo braccio di ferro, motivazioni che si collegano direttamente alla politca interna di Erdogan e numerosi sono i gesti politici di questi ultimi tempi che indicano chiaramente la sua deriva nazionalista e islamista, orientata sempre più verso una dittatura che non tollera opposizioni. Una dittatura che naviga tuttavia in mezzo ad enormi difficoltà economiche e che ha, in prospettiva, la data delle prossime elezioni, il 2023. Una data intrisa di grande simbolismo perché celebra il centenario della fondazione della Repubblica da parte di Ataturk, padre di una Turchia moderna e laica. Elezioni che Erdogan non puo’ permettersi di perdere se vuole portare a termine il suo distruttivo e inquietante progetto politico. 

Questa è la Turchia con la quale l’Unione Europea deve oggi dialogare, perché il dialogo è l’unica alternativa all’opzione militare. Ma l’Unione, che ha deciso sanzioni contro Ankara, tenga presente le sue responsabilità nell’aver negato per anni una prospettiva più europea al Paese e non dimentichi nemmeno che ha affidato alla Turchia la sorveglianza delle sue frontiere per quanto riguarda i flussi migratori. Non sarà un dialogo facile e la posta in gioco è veramente molto alta. 

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