Sono ormai molti i fronti di guerra in Medio Oriente, alcuni apparentemente in stato di cessate il fuoco, altri sempre violentemente aperti, come a Gaza, dove i palestinesi muoiono a decine ogni giorno per fame e bombe, altri invece riscoppiati recentemente come quello nel sud della Siria fra Drusi e membri di tribù di beduini, un conflitto quest’ultimo che ha coinvolto il Governo siriano e quello di Israele.
In una settimana di combattimenti, il conflitto in Siria, momentaneamente sospeso grazie ad un fragile accordo di cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti, ha provocato più di un migliaio di vittime e centinaia di sfollati. Sebbene non sia la prima volta che il conflitto fra Drusi, minoranza etno-religiosa nata dall’islam sciita e gruppi armati di beduini sunniti si accende nel sud della Siria, nel governatorato di Suwaida, oggi il nuovo conflitto ha dimensioni politiche che vanno ben oltre i confini meridionali locali.
Si inserisce infatti in un contesto geopolitico regionale in rapida evoluzione e dove la Siria, Paese centrale in Medio Oriente, è in piena transizione politica dopo la caduta, nel dicembre scorso, di Bachar al Assad e l’arrivo al potere di un Presidente ad interim, Ahmed al Sharaa. Obiettivo del nuovo Governo è quello di riappacificare la Siria dopo la dittatura degli Al Assad e quattordici anni di guerra civile, di creare le condizioni per una convivenza pacifica fra tutte le minoranze etniche e religiose, di favorire una transizione democratica del Paese e di ricuperare un ruolo sullo scacchiere regionale e internazionale.
Sono obiettivi complessi e non facili da raggiungere, sempre reiterati nei discorsi di Al-Sharaa, visto il mosaico conflittuale di etnie che compone il Paese, di cui il conflitto fra Drusi e beduini è l’ultimo esempio, e sono soprattutto obiettivi che cambiano la posizione della Siria sullo scacchiere mediorientale. Abbiamo visto infatti intervenire immediatamente nel conflitto Israele, con il pretesto di proteggere la minoranza drusa, ma andando a bombardare non solo Suwaida e le forze di sicurezza siriane, ma anche la sede del Ministero della Difesa a Damasco.
Un intervento che risponde all’obiettivo politico e militare di Israele di controllare il sud e l’est della Siria con una zona cuscinetto a fianco delle alture del Golan, controllo che considera essenziale per la sua sicurezza e che manda un messaggio chiaro al nuovo Governo siriano e ai suoi tentativi, sempre più fragili, di riportare la stabilità nel Paese.
Nello stesso tempo, nello scorso mese di maggio, il Presidente Trump ha incontrato il Presidente siriano, aprendo in tal modo non solo la prospettiva di una revoca delle pesanti sanzioni economiche che pesano sullo sviluppo del Paese ma anche conferendo una legittimazione politica allo stesso Presidente, in difficoltà di fiducia interna e internazionale dovuta alla sua provenienza da un gruppo jihadista. L’incontro voleva segnare anche la prospettiva di una normalizzazione delle relazioni fra la Siria e Israele, sulla scia, interrotta dalla guerra fra Israele e Hamas, degli Accordi di Abramo.
La stabilità della Siria sembra quindi, in prospettiva, in pericolo. Se a sud è sottoposta alla pressione di Israele, sulle sue frontiere a Nord è la Turchia ad occupare una zona cuscinetto legata alla presenza dei curdi. La Turchia, schierata a sostegno del nuovo Governo siriano, è l’unico Paese della NATO ad aver imposto sanzioni ad Israele per la guerra a Gaza. I rapporti tra Turchia e Israele sono pessimi e questo non gioca a favore né della Siria né della stabilità dell’intero Medio Oriente.