Il recente attentato compiuto da giovani Palestinesi a Tel Aviv, che ha provocato la morte di quattro Israeliani, ha riportato sotto i riflettori un conflitto tanto antico quanto lontano, oggi, da una possibile soluzione di pace. La calma apparente che sembrava regnare dopo la fine della guerra del 2014 tra Israele e Hamas è stata continuamente attraversata da forti tensioni, tanto da far temere una nuova Intifada. Una violenza sempre presente, sempre pronta ad esplodere nel peggiore dei modi e senza ormai quell’attenzione della comunità internazionale in grado di dare spazio a rinnovati negoziati e a nuove prospettive politiche.
La reazione di Israele all’attentato non si è fatta attendere e, come di consueto, è stata una risposta dura e destinata a punire migliaia di Palestinesi nel loro vivere quotidiano e nelle speranze di un futuro dignitoso e condiviso. Inoltre, la recente nomina a Ministro della Difesa di Avigdor Lieberman, leader di un’estrema destra aggressiva criticato per il suo radicalismo, non è certo di buon augurio per il futuro delle relazioni fra Israele e Palestina.
Ma, nel cuore di un Medio Oriente in preda a molteplici conflitti, Israele e Palestina si ritrovano oggi di fronte a nuovi scenari regionali che richiedono con urgenza il superamento di una situazione di statu quo estremamente pericolosa e di colmare quel vuoto negoziale in cui il terrorismo del sedicente Stato islamico, ostile ad una coesistenza pacifica, potrebbe facilmente inserirsi. Già oggi è percettibile quanto potrebbe essere fertile un simile terreno sia a Gaza che in Cisgiordania.
Una tale prospettiva e la possibilità di un ulteriore e nuovo sanguinoso conflitto in Medio Oriente spaventano un po’ tutti e sembra crescere, soprattutto nelle opinioni pubbliche palestinese e israeliana, il desiderio di raggiungere un compromesso che porti finalmente alla convivenza e alla pace. Un desiderio che si urta purtroppo, da parte israeliana, a consolidate rigidità politiche del Governo e all’espansione illegale e continua dei coloni in Cisgiordania e, da parte palestinese, ad una divisione politica non solo fra Hamas e Fatah, ma anche all’interno di Fatah, che contribuiscono ad indebolire la strategia politica e la capacità di un possibile negoziato con Israele.
In questo contesto di emergenza, su iniziativa diplomatica della Francia, e sotto l’egida dell’ONU, si è tenuta a Parigi il 3 giugno scorso una nuova Conferenza di pace che ha riunito intorno al tavolo i rappresentanti di 30 Paesi con l’obiettivo di rilanciare, dopo due anni di stallo, i negoziati. Alla Conferenza, basata sull’obiettivo di aprire di nuovo la strada alla soluzione dei due Stati, non erano tuttavia presenti i diretti interessati, i quali, se sarà possibile, dovrebbero partecipare ad un secondo round di negoziati previsto per il prossimo autunno.
Ma, senza sorpresa, Israele ha già fatto sapere tutta la sua contrarietà a negoziati multilaterali sul processo di pace, esigendo da sempre un negoziato bilaterale che gli permetta, come successo finora, di non rispettare e superare qualsiasi accordo raggiunto.
A sostenere il processo avviato dalla Conferenza di Parigi non sono solo i Paesi del Quartetto (Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Nazioni Unite), ma anche i Paesi della Lega araba, che hanno adottato il 28 maggio scorso una risoluzione con le tappe da seguire e i nodi da sciogliere per giungere ad un accordo di pace. La partecipazione della Lega araba, inoltre, non è banale e testimonia di una volontà regionale non solo di evitare la deflagrazione di un nuovo conflitto, ma anche la necessità di stabilire adeguati rapporti con Israele.
In questo nuovo contesto e in questa nuova prospettiva appare importante sostenere questo ulteriore tentativo diplomatico di uscire dall’impasse e di porre fine a settant’anni di un conflitto che ha generato tanta violenza, tanta ingiustizia e tanta disperazione soprattutto per il popolo palestinese.
Anche il ruolo del Quartetto dovrebbe trovare un nuovo impulso, una nuova strategia di negoziato e uscire da quelle rigidità politiche che non hanno portato finora ad alcun risultato. L’Unione Europea potrebbe assumere il ruolo di capofila al riguardo, dispone delle capacità politiche e diplomatiche per guidare, con il tempo necessario, un negoziato di pace che diventa sempre più urgente sullo scacchiere in fiamme del Medio Oriente.