L’Unione Europea per il futuro del pianeta

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Saranno presto presto passati dieci anni quando a Parigi, nel 2015, l’Unione Europea sottoscrisse l’Accordo sui mutamenti climatici e molti più anni ancora sono passati da quando un numero crescente di scienziati, inascoltati, ci andavano mettendo in guardia contro i rischi che correva la sopravvivenza del nostro unico pianeta che abitiamo.

Non tutti nel mondo avevano preso sul serio quell’impegno: qualcuno – come gli Stati Uniti di Trump – lo rinnegarono, riconfermandolo poi con l’Amministrazione Biden; altri Paesi, in particolare nell’area mediorientale e africana e tra essi la Turchia, non l’adottarono formalmente.

Da allora l’Unione Europea prosegue con determinazione nella lotta al riscaldamento climatico e lo fa con strumenti normativi vincolanti che sono stati adottati in questi ultimi anni, in particolare a partire dal “Piano verde” (Green deal), lanciato dalla Commissione europea nel dicembre 2019.

Si è trattato e si tratta di una strada tutta in salita, non solo per gli obiettivi ambiziosi che si pose allora l’UE, ma resa anche più ripida dalle due crisi esplose inattese nei due anni successivi, quella della pandemia e quella della guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. Due eventi di dimensioni straordinarie mai vissute dall’UE nel corso già lungo della sua storia e che stanno concorrendo a modificarne il profilo, non mancando di creare tensioni politiche al suo interno.

In questo contesto, tra le molte misure previste dall’UE per lottare contro in riscaldamento climatico, una ha sollevato nei giorni scorsi aspri contrasti che meritano di essere almeno un po’ chiariti.

La posta in gioco è alta e prevede che a partire dal 2035 non potranno più essere immatricolate auto a benzina o diesel: questo per permettere di ridurre le emissioni di gas serra del 55% di qui al 2030, rispetto ai livelli del 1990 e per raggiungere il traguardo di zero emissioni all’orizzonte 2050. Tradotto, significa che l’industria automobilistica europea deve contribuire ad accelerare la transizione ecologica e investire maggiormente in quella tecnologica. Facile dirlo, molto meno riuscire a farlo, per almeno due robuste ragioni: da una parte la capacità dei produttori europei, e di quelli italiani in particolare, di rispondere nei tempi previsti a scadenze ravvicinate, visto l’attuale ritardo tecnologico, e la scarsità di materiali e servizi adeguati e, dall’altra, la probabile ridotta domanda da parte degli automobilisti alle prese con costi non facilmente accessibili per molte tasche.

Non sono le sole difficoltà che si profilano, dovendo rigenerare una parte importante del nostro settore manifatturiero e salvaguardare l’occupazione. E’ probabile che quest’ultima possa, dopo un’importante riduzione, essere ristabilita e anche rafforzata, ma potrebbero essere lunghi i tempi per riuscirci e dislocate altrove produzioni non più competitive nei vecchi siti industriali. Si tratta di una preoccupazione espressa da alcuni Paesi come l’Italia, in particolare per quello che resta dell’industria automobilistica in Piemonte, in difficoltà a competere con l’area settentrionale dell’UE e, più ancora, con la Cina.

Queste preoccupazioni sono all’origine di un contrastato voto, il 14 febbraio scorso, al Parlamento europeo, che ha visto le forze politiche di centro-sinistra a favore della decisione e contrarie quelle del centro-destra e, tra queste, compatte le componenti della maggioranza al governo in Italia.

Due posizioni tutto sommato coerenti con le rispettive visioni d’Europa: da una parte le forze europeiste, coerenti con l’impegno dell’UE nel difendere il pianeta e proteggerne il futuro; le altre preoccupate di salvaguardare un precario presente alla luce di prevalenti prevalenti interessi nazionali nel breve periodo, della serie: “Se vedi arrivare il futuro, digli che non ci sono”.

Certo la scommessa è impegnativa, al limite dell’impossibile, salvo che i nostri politici rispondano alla speranza di Mark Twain: “Non sapevano che fosse impossibile, allora l’hanno fatto”. 

Il pianeta ringrazia anticipatamente.

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