Nel linguaggio guerriero ormai imperante in questa stagione di conflitti risulta evidente come l’Unione Europea si trovi, in gran parte suo malgrado, impegnata su più fronti, forse troppi per le sue forze. Anche perché ai turbolenti fronti esterni delle guerre in corso si aggiunge un complesso fronte interno alimentato da una vigilia elettorale ad alto rischio politico, tanto a livello europeo che nazionale.
Proviamo a semplificare facendo scorrere le principali fonti di tensione, in particolare a fronte della guerra della Russia all’Ucraina e al conflitto israelo-palestinese, con la relativa novità della ripresa degli attentati di origine islamista.
L’aggressione all’Ucraina si sta intensificando da parte della Russia con un uso strumentale dell’attentato a Mosca, addebitato anche ad altri Paesi occidentali, provocando una nuova inevitabile pressione anche sull’UE, già uscita dall’ultimo Consiglio europeo di fine marzo con crescenti preoccupazioni, inutilmente messe a tacere per non allarmare troppo l’opinione pubblica. Già si avverte nell’aria che le misure appena prese per contrastare l’aggressione russa non sembrano sufficienti e cresce la spinta a rafforzare militarmente i confini, in particolare quelli polacchi e dei Paesi baltici, muovendo su un piano inclinato dagli esiti inquietanti come inducono a pensare le parole recenti della Presidente del Consiglio italiano secondo la quale “la pace non si fa con le parole, ma con la deterrenza”.
Sul versante del conflitto israelo-palestinese l’Unione Europea è stata confortata dalla recente Risoluzione dell’ONU in favore di un cessate-il-fuoco immediato, resa possibile dalla storica astensione degli USA, in un Consiglio di sicurezza dove hanno votato in favore, oltre la Francia, anche entrambi i Paesi UE presenti di turno, Malta e Slovenia. C’è da sperare che adesso l’UE dimostri più coraggio e corregga i suoi sbandamenti iniziali, come quelli della presidente Ursula von der Leyen, che oggi ha più di una ragione di preoccuparsi per la sua sollecitata conferma alla guida della futura Commissione europea.
L’irruzione del terrorismo islamista introduce una nuova minaccia trasversale tra i conflitti in corso, con il rischio di esasperarli, quando non addirittura di saldarli tra di loro.
Meno drammatico ma comunque complesso il quadro delle tensioni interne all’Unione in vista delle elezioni del Parlamento europeo del prossimo giugno. Nel corso degli ultimi mesi è andata variando la mappa politica nei Paesi UE a seguito di elezioni importanti, come nel caso di Olanda, Spagna, Portogallo e, in quelle in corso, in Slovacchia. I sondaggi hanno registrato questo sciame sismico facendo intravvedere, se non una diversa maggioranza politica rispetto all’attuale nel futuro Parlamento europeo, una sua possibile declinazione verso un rallentamento del processo di integrazione proprio in una stagione del mondo e dell’Europa che necessita di più coraggio per andare avanti e progredire verso una sovranità europea in grado di affrontare sfide straordinarie e ad alto rischio per tutti.
Mancano ormai poco più di due mesi alla consultazione elettorale e la partita resta aperta, tanto per quanto riguarda la partecipazione al voto che per i nuovi orientamenti politici dell’Assemblea di Strasburgo. Sembrerebbe crescere l’intenzione dei cittadini di recarsi alle urne: dalla quota delle astensioni si misurerà anche la quota di legittimità e di forza democratica del futuro Parlamento. È il momento di intensificare una corretta informazione, contrastare la propaganda ingannevole e sbarrare la strada alle infiltrazioni di false notizie che si annunciano numerose.
Verrà poi il momento, dopo il voto, di sorvegliare da vicino le dinamiche politiche destinate a definire i futuri Vertici dell’UE e capire meglio quale ruolo sarà capace di svolgere l’UE in un mondo largamente fuori controllo.