L’Unione Europea e i confini di Israele

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Il 30 giugno scorso l’Unione Europea ha adottato e introdotto nelle sue relazioni con Israele elementi che precisano i limiti territoriali ai quali si applica la loro cooperazione. Si tratta di linee guida che hanno una portata politica non indifferente perché stabiliscono chiaramente che gli Accordi UE-Israele e i finanziamenti comunitari non sono applicabili ai territori occupati da Israele nel 1967. Significa che gli scambi finanziari, economici e culturali non riguarderanno le aree che si trovano oltre la “linea verde” del 1967, e cioè la Cisgiordania, Gerusalemme est e le alture del Golan, territori che l’Unione Europea non riconosce in quanto territori di Israele e che Israele invece continua a colonizzare illegalmente, contro il diritto internazionale.

Sebbene tale decisione fosse nell’aria da tempo, le nuove linee guida dell’Unione Europea hanno causato, senza sorpresa, vivissime reazioni in Israele. Prima di tutto perché la decisione UE tocca inequivocabilmente il punto più sensibile di una futura ripresa dei negoziati di pace con i Palestinesi: le frontiere stesse di Israele. A questo proposito i Palestinesi chiedono come pre-condizione ad ogni avvio di negoziato l’interruzione della colonizzazione Israeliana nei Territori occupati e una definizione delle frontiere sulle linee del 1967. Cosa che gli Israeliani continuano a considerare come prerequisiti inaccettabili per un ritorno al tavolo dei negoziati.

La decisione dell’UE, che coinvolge singolarmente anche i suoi 28 Stati membri, ha il merito di essere chiara e di confermare una presa di posizione senza ambiguità in un contesto delicato e segnato dai recenti tentativi dell’Amministrazione americana di rimettere sui binari discussioni di pace ormai ferme da più di tre anni. L’Unione Europea è il maggior partner commerciale di Israele e senz’altro anche uno dei maggiori finanziatori dell’Autorità Palestinese. Questo nuovo approccio e le sue linee guida saranno presenti nella definizione politica e finanziaria della futura cooperazione con Israele per il periodo 2014-2020, una cooperazione ormai consolidata nell’ambito sia della Politica di Vicinato che dell’Accordo specifico di Associazione, entrato in vigore nel 2000. Tale Accordo, va ricordato, è stato spesso oggetto di preoccupazioni e di denunce proprio per il comportamento di Israele sul tema del rispetto dei diritti dell’uomo e dei principi democratici e per l’atteggiamento troppo condiscendente dell’Unione nei confronti della politica di Israele al riguardo. Ultima in data, una lettera dello scorso marzo inviata e firmata da 23 parlamentari europei all’Alto Rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton in cui chiedono la sospensione dell’Accordo in base all’articolo 2, recita: “Le relazioni tra le parti, così come le disposizioni dell’Accordo stesso, devono essere basate sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici che guidano le politiche interne e internazionali, e costituiscono un elemento essenziale di questo Accordo”.

Forse qualcosa si sta muovendo, non foss’altro che per la posizione più precisa dell’Europa nei confronti dei rapporti Israelo-palestinesi, che delinea, attraverso una politica di cooperazione, i limiti e le linee entro i quali tale cooperazione potrà svolgersi. Un dilemma non da poco per Israele e un elemento di chiarezza per un futuro processo di pace.

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