L’Unione Europea dei territori

313

Ci sono molti modi sbagliati di raccontare l’Unione Europea. Uno dei più diffusi è quello di concentrare tutta l’attenzione sui Palazzi di Bruxelles, dove hanno sede le principali Istituzioni UE, o di Francoforte, sede dell’importante – in particolare di questi tempi –  Banca centrale europea (BCE). Si può fare anche di peggio, come ancora accade spesso anche sulla cosiddetta “grande stampa”, quando si confondono tra loro le Istituzioni, chiamando “Consiglio europeo” – quello che riunisce i Capi di Stato e di governo UE – con il “Consiglio d’Europa”, benemerita Istituzione internazionale che oggi riunisce 47 Paesi, 20 in più dell’Unione Europea e che rispetto a quest’ultima ha altre e più limitate funzioni o, ancora,  generando confusione tra le competenze delle Istituzioni UE con il risultato di indurre in errore sulle responsabilità di ciascuna.

Un’altra imprecisione molto frequente consiste nel ritenere equivalenti due appellativi, quello di Europa e quello di Unione Europea: la prima correttamente riferita alle dimensioni continentali europee (senza peraltro sapere definire chiaramente i confini di questo “piccolo promontorio dell’Asia”) e l’altra, una sua parte, costituitasi come aggregazione economico-politica a partire dalle Comunità dei primi anni ’50 e oggi, dopo la secessione britannica, forte di 27 Paesi membri con quasi mezzo miliardo di abitanti.

Accade spesso che, quando  prevalgono queste approssimazioni, a farne le spese siano i Paesi europei “in carne ed ossa”, occultando i suoi molteplici territori, le comunità umane che vi abitano ricche di culture diverse, non aliene talvolta da conflitti che il convivere insieme nell’Unione consente di governare. L’UE è una realtà complessa, erede di una tradizione millenaria di scambi, guerre, tregue e, da 75 anni a questa parte, di una pace che mai il nostro continente ha conosciuto così lunga. Non sorprende che una simile storia abbia provocato nel tessuto europeo faglie e divisioni importanti, alcune risolte, altre latenti e, altre ancora, a rischio sismico permanente.

Lo constatiamo in questi giorni di affannosa ricerca di un’intesa per consentire all’economia e alla società europea di rimbalzare dopo il disastro, non ancora del tutto consumato, della pandemia da Covid-19. In gioco non ci sono soltanto le dimensioni, insolitamente imponenti, delle risorse finanziarie previste per il “Patto di ripresa” dell’UE, le spinte a sostegno della proposta, le resistenze dei Paesi cosiddetti “frugali” (Austria, Danimarca, Finlandia, Olanda e Svezia) e i timori dei Paesi dell’Europa centro-orientale. In ballo ci sono visioni diverse del progetto europeo: quelle prevalentemente “mercantili” dei “frugali”, quelle di forme di “solidarietà passiva” (ricevere molto e dare il minimo) degli ultimi arrivati nell’UE e l’orizzonte politico verso cui muove la coppia franco-tedesca, con l’Italia, la Spagna, e altri Paesi periferici dell’Europa.

Lo scontro di queste settimane ne riproduce uno antico, ora venuto meno: quello tra Paesi fondatori UE e il Regno Unito, sostituito adesso da Paesi che prima muovevano nascosti sotto traccia e adesso costretti a mostrare le loro intenzioni, quelle che riemergono da territori e da popolazioni che camminano con interessi e ritmi di integrazione diversi, gelosi di loro presunte sovranità nazionali e ancora poco convinti della necessità di aumentare la coesione europea per fare fronte non solo alle nostre difficoltà interne ma, più ancora, alle tensioni crescenti nel villaggio-mondo dove, tra gli Stati Uniti in declino e la Cina in forte progressione, nonostante l’attuale rallentamento della crescita, l’Unione Europea rischia di fare la fine del “vaso di coccio”. 

Questa è la vera posta in palio, molto più che non la sceneggiata dei “taccagni”  di fronte ai soldi del “Patto per la ripresa” in discussione sui tavoli di Bruxelles. 

1 COMMENTO

  1. Desidero ribadire l’importanza di continuare a parlare fra i popoli dei diversi territori dell’UE, sottolineando il ruolo di associazioni come APICE che entra nel vivo dei problemi socio-politici del momento guardando avanti.
    Come sottolineato il problema di interconnessione economica dei 27 pur importante non è l’essenziale perché settantanni di pace e di crescita hanno un valore assoluto, pur dovendo parametrarci con le difficoltà di dialogo che ci sono e non mancheranno in futuro.
    Passo dopo passo dovremmo sfociare inervitabilmenta nella federazione di stati con la dovuta caratura economico-politica atta ad influire sull’equilibrio di forze dello scacchiere mondiale confrontadoci con Stati Uniti, Cina, Russia. Il risultato non potrà che essere ottimale per l’equilibrio globale.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here