L’UE aspetta dall’Italia numeri, non parole

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La politica fa abbondante uso di parole, ma spesso sono i numeri a indicare quale sia la realtà.

Accadrà anche nei prossimi giorni, quando il governo italiano dovrà chiarire con le Istituzioni UE lo stato di avanzamento del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR) e comunicare il “Documento di economia e finanze” (DEF).

Sul PNRR sono ormai note a tutti le difficoltà di gestione di quei quasi 200 miliardi di euro, in parte prestiti e in parte contributi a fondo perduto, che l’UE ha reso disponibili per l’Italia, a patto che queste risorse straordinarie vengano investite e  spese nei tempi stabiliti, accompagnandole con le riforme a suo tempo concordate. Purtroppo su entrambi i versanti le notizie non sono buone e il governo è alle prese con gli ultimi chiarimenti sullo stato di avanzamento del Piano, nella speranza di ricevere la prevista terza tranche di finanziamento di 19 miliardi. Intanto in Parlamento e negli Enti locali si sono accesi i riflettori sulla gestione del Piano e sulle responsabilità del governo in carica ormai da sei mesi, mentre sono ancora in corso attribuzioni di competenze e aggiustamenti della macchina amministrativa.

Non meno impegnativo è il passaggio relativo alla definizione del “Documento di economia e finanza”, strumento di programmazione finanziaria contenente il “Programma di stabilità” con gli obiettivi della finanza pubblica e il “Programma nazionale di riforma” relativo alle strategie per il il medio periodo. Entrambi i documenti devono essere comunicati all’UE, in attesa di una sua valutazione e approvazione.

Anche su questo fronte la partita si gioca non sulle parole ma sui numeri, in particolare quelli della soglia del deficit e quella del debito pubblico a fronte della previsione di crescita. Poiché questa non sembra raggiungere l’1% del Prodotto interno lordo, la spesa pubblica andrebbe ridotta per far rientrare il deficit al 3%, mentre il DEF lo lascia correre oltre al 4,5% nel 2023 –  ben sopra la media europea, in compagnia di Spagna, Francia e Belgio – lasciando correre insieme la spesa corrente e il debito pubblico.

Niente di nuovo sotto il sole, se non fosse che questa volta il documento di programmazione economica incrocia il negoziato in corso per la revisione del “Patto di stabilità”, sospeso a inizio 2020 per consentire alle finanze pubbliche dei Paesi europei di far fronte alla crisi economica e finanziaria prodotta dall’irruzione della pandemia da Covid. 

Adesso, dopo due anni di sospensione, un nuovo “Patto di stabilità” dovrà essere adottato per l’inizio del 2024 e, nonostante l’introduzione di alcune misure di flessibilità, vedrà tornare in vigore regole vincolanti con alcuni Paesi, come la Germania, per nulla intenzionati a fare sconti all’Italia. Quello che si profila nei prossimi mesi è un nuovo confronto aspro tra i Paesi, detti “frugali”, del nord con i Paesi “cicala” del sud in testa ai quali è considerata l’Italia.

Questo spiega l’agitazione che circonda il PNRR e la preoccupazione di molti osservatori che la situazione possa sfuggire di mano al governo italiano e comunque metterlo in grande difficoltà nella futura gestione delle finanze pubbliche, con un debito consolidato che ha largamente superato 2mila miliardi e 800 milioni di euro e cresce di giorno in giorno: di questo passo nel 2026 ci costerà 100 miliardi di euro solo per gli interessi da pagare. 

Chi volesse guardare ai numeri dell’economia più che alle parole della politica potrebbe utilmente andare sul sito “Istituto Bruno Leoni” alla voce “debito pubblico”: un cruscotto dove è registrato secondo per secondo la crescita del debito italiano. Una lettura da togliere il sonno anche ai più ottimisti.

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