Con i riflettori costantemente puntati sulle due guerre in corso ai nostri confini, viene data ben poca visibilità e importanza ad altri conflitti sparsi per il mondo, conflitti altrettanto disastrosi e violenti per le popolazioni coinvolte e non meno carichi di ricadute geopolitiche a livello regionale e globale.
E’ il caso del Sudan, il terzo Paese più grande dell’Africa, travolto da una nuova guerra civile iniziata nell’aprile del 2023, causando una delle peggiori crisi umanitarie di questi ultimi tempi. Si affrontano nel conflitto, in particolare, due generali, due signori della guerra: Abdel Fattah al Burhan, a capo dell’esercito e Mohamed Hamdan Dagalo, comandante delle forze paramilitari di supporto rapido (RsF), in lotta per il potere a Khartoum.
I numeri della catastrofe umanitaria che investono ormai tutto il Paese sono impressionanti. Si stima che circa 10 milioni di persone, su una popolazione di 47 milioni, hanno dovuto abbandonare le loro case e rifugiarsi nei Paesi vicini, Sud Sudan, Ciad, Egitto, Etiopia e persino in Uganda e nella Repubblica Centrafricana. Un esodo per sfuggire anche ad una carestia che, secondo l’ONU è una delle peggiori del mondo da almeno quarant’anni a questa parte e ha già provocato migliaia di vittime. In questo contesto, la fuga dei civili dalla guerra guarda anche all’Europa, dove negli ultimi mesi, il numero di richiedenti asilo sudanesi è in costante e problematico aumento. Sempre secondo l’ONU, nel 2023 il loro numero è aumentato di ben sei volte.
Il Sudan, al cui orizzonte non si vedono spiragli di pace, se da una parte è in una situazione esplosiva dal punto di vista umanitario, dall’altra rappresenta un punto di grande preoccupazione e interesse per la sua posizione geostrategica, tra il Sahel e il Corno d’Africa, all’incrocio fra Africa e Medio Oriente, alla frontiera tra il mondo arabo-islamico e l’Africa nera e con la capitale Khartoum situata alla confluenza del Nilo Bianco e Azzurro. Attorniato da sette Paesi dai regimi fragili o dittatoriali, con ben 800 chilometri di costa sul Mar Rosso, l’instabilità del Sudan rappresenta una significativa minaccia non solo per l’intera regione ma anche per l’insieme degli attori globali presenti in quei territori.
Il Sudan, Paese terzo produttore d’oro del Continente africano, può infatti destabilizzare i Paesi vicini del Sahel o del Corno d’Africa, puo’ diventare terreno fertile per terrorismo e jihadismo, nonché crocevia di traffico d’armi e esseri umani. In particolare, il Sudan puo’ mettere ulteriormente in difficoltà il traffico commerciale globale del Mar Rosso e del Canale di Suez, già fortemente sotto tensione con la presenza delle milizie Houthi dello Yemen.
A livello di interesse regionale, il Sudan è particolarmente nelle mire dei Paesi del Golfo, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti in particolare, che, su posizioni opposte, finanziano e inviano armi ai belligeranti. Stesso interesse strategico proviene, sempre con interessi diversi, dall’Iran e dall’Egitto.
A livello globale, la Russia persegue l’obiettivo di giocare un ruolo di primo piano nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano, assicurandosi una base navale in Sudan, mentre la Cina tenta di salvaguardare, malgrado la guerra, i suoi interessi commerciali sulla Via della Seta e nei confronti dell’Africa.
Se il Sudan rappresenta un Paese di particolare preoccupazione per il futuro, scarsa sembra essere al riguardo l’attenzione dell’Europa. Eppure, la posta in gioco per la pace e la stabilità nel Paese è alta, non foss’altro per i suoi drammatici aspetti umanitari e migratori.