Libia ancora in guerra

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Paese situato al centro dell’Africa del Nord, ricco di petrolio e, oggi, principale snodo per la partenza di molti migranti verso l’Europa, la Libia sta vivendo giorni drammatici con l’offensiva militare del Generale Haftar su Tripoli e sul Governo di unità nazionale di Fayez Al-Sarraj. Le vittime sono già  più di un centinaio e gli sfollati ormai parecchie migliaia.

Sono più di otto anni che la Libia, dopo lo sciagurato intervento militare guidato, in particolare, da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, vive in uno stato di profonda instabilità politica e in un mosaico di conflitti tribali. E’ divisa fra due Governi, quello di Tobruk ad est del Paese, sostenuto dal Generale Haftar e quello di Unità nazionale, basato a Tripoli e riconosciuto dalla comunità internazionale. Ci sono due Parlamenti, due Banche centrali, decine di gruppi armati locali e numerosi distretti più o meno autonomi.

Una situazione politica intricatissima e violenta,  sulla quale si sono finora infranti i numerosi tentativi di negoziati di pace: dai tentativi, contrapposti e conflittuali della Francia e dell’Italia, a quelli degli Emirati Arabi Uniti e dell’ONU. Ed è proprio alla vigilia dell’ennesimo tentativo dell’ONU di organizzare una conferenza, prevista dal 14 al 16 aprile, volta a definire un piano di riconciliazione nazionale che portasse alla creazione di nuove e legittime Istituzioni, che il Generale Haftar ha deciso di intraprendere la sua offensiva militare su Tripoli. Una “coincidenza” che non lascia molti dubbi sulle sue reali intenzioni, sulla sua limitata visione di una soluzione pacifica e sull’interpretazione del ruolo dell’ONU per la transizione politica del Paese.

Il Generale Haftar, con il suo Esercito nazionale libico, controlla ormai tutta la parte orientale del Paese, la Cirenaica e, dopo la conquista di Fezzan, anche gran parte del sud e dei suoi giacimenti di petrolio. L’obiettivo del Generale, in questi giorni, è dunque quello di puntare al controllo della Tripolitania e in particolare a rovesciare il Governo di accordo nazionale, il quale, pur avendo un riconoscimento internazionale, controlla ormai solo Tripoli e dintorni.

Haftar, fin dall’inizio della crisi libica, ha sempre voluto dimostrare di essere l’unico attore in grado di garantire una certa stabilità al Paese e di avere in mano le carte necessarie per far fronte al terrorismo e ai movimenti islamici. Argomenti che non hanno lasciato indifferente la comunità internazionale e che hanno contribuito a creare, a seconda degli interessi geopolitici ed energetici in gioco, divisioni e prese di posizione contrastanti a sostegno di Haftar o di Al Serraj.

Sono prese di posizione che dividono a  vari livelli: a livello regionale e in un contesto già attraversato da molteplici fratture e da nuove turbolenze politiche (Algeria e Sudan) è chiaro il sostegno dell’Egitto, dell’Arabia saudita e degli Emirati Arabi Uniti all’offensiva del Generale Haftar. A livello internazionale le prese di posizione sono più prudenti nella forma, ma sono tuttavia rivelatrici degli interessi perseguiti nella regione : non è un caso infatti che la Russia abbia bloccato una risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’ONU che chiedeva ad Haftar di fermare l’offensiva. La Russia, pur dichiarando la sua “neutralità” nei confronti del conflitto in corso, vede di fatto un’opportunità di rafforzare ulteriormente (dopo la guerra in Siria)  il proprio ruolo di mediatore in Medio Oriente. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, va sottolineato il tiepido interesse al riguardo, limitato all’appoggio ad una soluzione pacifica sotto l’egida dell’ONU.

Ed infine, l’Unione Europea, divisa al suo interno e ostaggio delle posizioni contrastanti dei suoi Stati membri, in particolar modo per quanto riguarda l’ambiguità politica della Francia e la debolezza dell’Italia, quest’ultima in prima linea nel subire le conseguenze dirette dell’instabilità e del conflitto in corso. Conseguenze che, comunque vada, non mancheranno di rimescolare le carte dei futuri rapporti con il Paese, in particolare per quanto riguarda i flussi migratori e le risorse energetiche.

Oggi, l’offensiva di Haftar su Tripoli continua e l’esito è incerto. Il quesito sta nel sapere se Haftar, nel caso di un cessate il fuoco, di una vittoria o di una sconfitta, sarà disposto, e con quale peso, a reinserirsi in un negoziato politico e di pace insieme a tutte le altre forze presenti nel Paese. Un negoziato che sarà tutto da ripensare, dato che, alla luce dell’attualità, il processo di riconciliazione nazionale sostenuto finora dall’ONU, sembra dimostrare tutta la sua fragilità.

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