Da sempre la carta d’Europa rivela una ragnatela di frontiere.
Nel corso del tempo molte di quelle linee di frattura si sono modificate, a tratti ridotte da imperi più o meno duraturi per poi moltiplicarsi alla loro dissoluzione. Nemmeno dopo la seconda guerra mondiale le frontiere hanno tutte acquistato stabilità: lo abbiamo visto all’indomani dello scioglimento dell’Unione Sovietica o, subito dopo, nella tragedia della ex-Jugoslavia fino a smottamenti ancora in corso nel Caucaso del sud.
Oggi nell’Unione Europea le frontiere continuano a delimitare Stati più o meno sovrani, in pace tra di loro, godono di una tranquilla stabilità e sono diventate cerniere e ponti invece che muraglie difese dagli eserciti. Non va però dimenticato che accanto a queste frontiere, antiche cicatrici lasciate dalle guerre, altre linee di demarcazione percorrono l’UE, non più bellicose come un tempo ma nemmeno prive di tensioni, alcune già evidenti e altre che covano sotto la cenere.
Nell’ultimo numero della Rivista italiana di geopolitica, Limes, sono riprodotte una serie di carte geografiche europee con “frontiere” illuminanti. Si comincia con quella dell’ “Europa vista da Berlino”, che nel quadrante largo di un’Europa suddivisa, in senso orario, tra quella del Nord, dell’Est, del Sud-Est, del Sud e dell’Ovest ha il suo perno nella “Mitteleuropa” con al centro la Germania, attorniata da Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Slovenia, Austria e Svizzera. Segue la carta “Euro o non Euro” con i 17 Paesi che hanno adottato la moneta unica (tra questi una segnalazione speciale è riservata ai PIIGS, Paesi in difficoltà come Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), con i Paesi che potrebbero adottarla ma preferiscono farne a meno (come la Gran Bretagna e la Svezia) e con quelli che potrebbero entrare nell’eurozona in questo decennio. Dopo un richiamo, non privo d’interesse, alla carta della Lega Anseatica (XIV-XVI sec.), compare una carta dal titolo “Cuius regio eius religio” (metà XVI sec.) nella quale s’intrecciano luterani, calvinisti, anglicani, cattolici, hussiti e altri gruppi protestanti. La rassegna si conclude con una carta più articolata e complessa intitolata “Bonum/Malum”, disegnata con il criterio della consistenza economica e politica, con una suddivisione tra Europa germanico-“virtuosa” (ne farebbe parte anche l’Italia settentrionale), le “Periferie” (buona parte dell’Europa orientale), un Polo Sud negativo (Grecia e Cipro) e Buchi neri (Bosnia Erzegovina, Kosovo e Macedonia).
“Carta canta”, verrebbe voglia di dire per l’evidenza di quelle rappresentazioni geografiche, forse un po’ sommarie, viste le secolari contaminazioni dei popoli europei, ma non prive di significato e comunque utili a capire perché sia così faticosa la strada dell’integrazione europea e quante siano le faglie su cui pericolosamente poggiamo.
Dopo le vicende sismico-giudiziarie dell’Aquila, non è prudente azzardare previsioni sulla pericolosità delle faglie esistenti e su improbabili terremoti geopolitici nella tranquilla Europa; ma non è nemmeno il caso di sottovalutare possibili smottamenti nei rapporti interni dell’UE, esposta a tensioni finanziarie ed economiche, a tentazioni egemoniche di antiche e nuove potenze commerciali, a inquietanti rigurgiti nazionalisti e, alle periferie dell’UE, a derive secessioniste locali come nel caso della Spagna, della Gran Bretagna e del Belgio.
Tutte faglie interne all’eurozona che si vanno ad aggiungere a quella sempre più larga della Manica e a quella atlantica, che potrebbe dilatarsi tra qualche giorno se Obama dovesse perdere la presidenza USA. Senza contare quella che si va allargando tra l’UE e la Turchia, porta di quell’Asia della quale, come diceva Paul Valéry, rischiamo di diventare quello che siamo, giusto un suo promontorio.