E’ un luogo comune diffuso, ma anche poco affidabile, quello che considera tutti uguali i discorsi dei politici. Lo smentisce, tra gli altri, il raffronto tra i discorsi tenuti a Roma il 25 ottobre scorso dalla presidente del Parlamento europeo, la maltese Roberta Metsola al suo secondo mandato, e quello pronunciato il 21 aprile 1954 a Parigi, da Alcide De Gasperi, allora Segretario della Democrazia cristiana, dopo essere stato a diverse riprese presidente del Consiglio italiano.
L’occasione per questo raffronto è stato offerto dal ricordo della morte di De Gasperi 70 anni fa, proprio pochi mesi dopo il suo discorso di Parigi, a cui è stata associata alla Camera dei deputati l’attuale presidente del Parlamento europeo, venuta in Italia anche per dare man forte alla presidente del Consiglio italiano sul fronte caldo dei migranti e della candidatura di Raffaele Fitto a commissario europeo.
In entrambi gli interventi era al centro il progetto di unificazione europea e il suo futuro, diverso il contesto storico, ma più ancora la tonalità e il coraggio dei due discorsi.
De Gasperi interveniva a Parigi alla vigilia di quella che avrebbe dovuto diventare di lì a poco la Comunità europea della difesa (CED), dopo il successo della prima Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) nata nel 1951, sei anni prima che nascesse la Comunità economica europea (CEE). Forte della memoria della guerra conclusasi una decina d’anni prima, De Gasperi credeva fermamente nel futuro dell’Europa unita, a cominciare dal progetto di una difesa comune. Purtroppo questo progetto fallì il 30 agosto di quello stesso anno a causa del rifiuto dell’Assemblea francese.
Non comparabile, ma non meno politicamente sensibile, il contesto dell’intervento della presidente del Parlamento europeo, espressione del Partito popolare europeo (PPE), con due guerre in corso ai confini dell’Unione Europea, sempre in assenza di una politica comune della difesa, tema in questo caso appena sfiorato, per fare posto a quello del momento che ai suoi occhi sembra essere prioritariamente quello dei migranti, “intensificando il rimpatrio dei richiedenti asilo che non hanno diritto alla protezione e che possono essere rimpatriati rapidamente e in sicurezza”. Pieno di buone intenzioni il resto del discorso di Metsola, ma con poche tracce di volontà politica per rilanciare il progetto europeo che pure ne avrebbe oggi un grande bisogno.
Altro contesto quello in cui interveniva De Gasperi, ma anche altra tonalità politica, quella di un vero statista che guardava lontano per il futuro delle prime Comunità europee degli anni ‘50 per le quali sperava “tutti, egualmente animati dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa”.
Certo in quei primi anni ‘50 non pesava l’ossessione della “invasione dei migranti”, piuttosto si trattava di gestire nella Comunità europea in cantiere la dolorosa emigrazione interna, vittima solo due anni dopo, nell’agosto del 1956, della tragedia di Marcinelle in Belgio, dove trovarono la morte 262 minatori, tra i quali 136 italiani.
Ma già allora erano vive le tensioni politiche, diverse tendenze si confrontavano anche duramente, ma non al punto per De Gasperi di rassegnarsi al prevalere di un pensiero dominante che “possa essere imposto da una sola delle correnti di idee che ai nostri giorni si sono affermate nella civiltà europea come prodotti della sua evoluzione culturale, sociale e politica”. Era quella la base su cui fondare la costruzione della “Patria Europa”, andando oltre le “nostre patrie europee”, senza chiuderci nelle nostre patrie nazionali.
Alla lettura dei due discorsi sorgono almeno due interrogativi: quale dei due protagonisti politici europei dimostra di avere la visione lunga del futuro e se, oggi, entrambi potrebbero sedere insieme sui banchi del Partito popolare europeo (PPE), vista le complicità di quest’ultimo con forze politiche ostili a “Patria Europa”.