Lettera da Bruxelles

1174

È trascorsa ormai una settimana dagli attentati di Bruxelles e sembra che una calma surreale abbia invaso la città. Una specie di silenzio chiuso fra lo stordimento di un tragico attacco appena consumato e l’inquietudine di una nuova e possibile sciagura.

Bruxelles sta medicando le sue ferite, incredula che tanto odio fosse cresciuto fra le pieghe della sua popolazione multietnica e multiculturale, sbalordita dall’orrore generato da tanto odio, e, soprattutto, molto sola di fronte all’inquietante quesito sul fallimento o meno di una politica di integrazione che, evidentemente, ha mostrato tutti i suoi limiti nel peggiore dei modi. Eppure Bruxelles ha sempre mostrato un viso dai mille colori, un viso in grado di esprimersi in tantissime lingue ed era soprattutto per questo che raccoglieva la simpatia, l’affetto e l’attaccamento dei suoi variegati cittadini e temporanei abitanti.

Ai balconi dei palazzi sventolano non solo fragili bandiere belghe a mezz’asta, ma anche bandiere di altri Paesi, segnali di un lutto nuovo che colpisce alle spalle, con incomprensibile logica e ferrea determinazione. Colori e simboli di bandiere che si affiancano in una comune consapevolezza del pericolo in corso, quello appunto di non cogliere le varie ragioni, la storia e la rivolta di una parte dei suoi cittadini che non si riconoscono in nessuna di quelle bandiere, quasi orfani di un’ambigua identità e ostaggi di una cieca ferocia.

Il silenzio di Bruxelles si consuma ovunque, anche sotto terra e nei ciel; non passano aerei, non ci sono rumori a ricordare lo scorrere di una vita normale. L’aeroporto, sventrato, è ancora chiuso e nessuno osa fare previsioni sulla sua riapertura. Serpeggia un sentimento di isolamento, di solitudine, di lontananza dai mezzi di comunicazione a cui eravamo abituati e che rendevano banale e a portata di mano la possibilità di muoversi, di lasciare Bruxelles per recarsi in un altro Paese.

Sotto terra hanno ricominciato a muoversi alcune linee della metropolitana. Non si fermano in tutte le stazioni e corrono via veloci, sferragliano in modo inusuale, quasi ad intonare un canto ad alta voce per alleviare i legittimi e contenuti timori dei viaggiatori. Viaggiatori che oggi si guardano in modo un po’ diverso, incerti fra il non lasciarsi andare ad identificare inquietanti profili e la ricerca di una solidale presenza che incoraggi la sfida a non aver paura.

Il silenzio di Bruxelles si consuma purtroppo anche per le strade e negli animi dei suoi cittadini. Vietati cortei e manifestazioni contro la paura. Ma non solo per la paura di nuovi attentati, ma soprattutto per non dare spazio e voce a quelle pericolose frange populiste pronte ad opporre irrimediabili soluzioni a quello che deve rimanere, in ogni caso e contro ogni paura, l’obiettivo e la sfida principali : continuare a costruire una città di accoglienza e convivenza pacifiche e rispettose. E la sfida non è solo per Bruxelles, ma per tutta l’Europa.

E oggi, a ridosso di questa tragedia, è importante non lasciare sola Bruxelles. E’ importante rientrare nel suo cuore, fra la gente e, anche se comprensibilmente e intimamente difficile, posare sguardi sereni intorno, in modo tale che Bruxelles ritrovi la forza e il coraggio per affrontare una nuova realtà.

È importante anche entrare nelle Istituzioni Europee per stimolare, con la propria presenza, l’esigenza di nuove e lungimiranti politiche di coesione, di cooperazione e di solidarietà. Entrare e dire che l’Europa non può morire perché è di fronte a sfide immense, sfide che potrà affrontare solo se userà gli strumenti e i valori su cui poggia la sua più recente storia di pace. Valori sacrosanti e irrinunciabili, fatti di rispetto dei diritti fondamentali e di giustizia sociale.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here