Gentile Presidente Vladimir Vladimirovitch,
Da cittadina europea, Le scrivo questa lettera per presentarLe, oltre agli auguri di un Buon Anno 2016, alcune domande sul futuro e sul ruolo che Lei e il Suo Paese intendono giocare sullo scacchiere internazionale.
Riferendomi alla storia più recente, a partire dalla fine di una lunga guerra fredda e dalla Russia, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, i rapporti con l’Unione Europea hanno avuto fasi alterne, passate attraverso un significativo spostamento di frontiere dell’UE verso le frontiere dell’ex Unione Sovietica, la fine del Patto di Varsavia e il rafforzamento della NATO nell’area, i tentativi di cooperazione e di dialogo malgrado i comprensibili timori di quei Paesi passati dall’ex Unione Sovietica nell’Unione Europea e un nuovo e turbolento rapporto politico con quei Paesi rimasti fra l’Europa e la Russia, Georgia e Ucraina in testa, sempre davanti a un bivio su con chi sia possibile stare.
La guerra in Ucraina, e ancor prima quella in Georgia nel 2008, nonché l’annessione della Crimea nel 2014, hanno definitivamente svelato con una certa brutalità la direzione che la Russia, dopo venticinque anni dal doloroso collasso dell’Unione Sovietica, intendeva prendere come nuova potenza mondiale. Questa guerra chiamava e chiama tuttora direttamente in causa l’Unione Europea, perché fa eco a concetti quali “sovranità nazionale, diritto all’autodeterminazione, radici storiche, sicurezza e pace, libertà fondamentali e diritti dell’uomo”. Temi molto importanti per tutti, sempre pericolosamente fragili e alcuni facilmente strumentalizzabili. L’Europa, di fronte a ciò ha imposto al Suo Paese delle “sanzioni economiche”, pur cosciente del fatto che queste ultime non sarebbero bastate a difendere quei valori né troppo rimesso in discussione la dipendenza energetica di cui soffre in modo strutturale.
Ecco, Gentile Presidente, la mia prima domanda: sono convinta che, in un mondo che sta velocemente cambiando e dove nuove potenze emergono in quanto attori importanti sulla scena internazionale, si debba avere come orizzonte condiviso quello del dialogo e della pace. Sono cosciente che anche l’Europa, dopo settant’anni di pacifica convivenza fra Stati che si erano sempre fatti la guerra, debba interrogarsi e trovare nuovi approcci di dialogo con queste potenze, in particolare con il Suo Paese, senza per questo rinunciare ai valori fondanti della sua democrazia, del rispetto dei diritti e del diritto internazionale. In proposito, vorrei sapere da Lei se e in quale misura condivide l’uso del dialogo per raggiungere la pace, un interrogativo nato in particolare dal Suo recente discorso di fine anno in cui individua proprio nella NATO il nemico principale per la sicurezza del Suo Paese.
Sembra un quesito banale e ingenuo, ma riveste tutt’altra importanza se fatto alla luce della Sua recente decisione di entrare in guerra in Siria e di cambiare le carte in tavola sulle vere e false coalizioni guidate dagli Stati Uniti per combattere il terrorismo dell’Isis. Il quesito si sposta non solo sul terreno del dialogo con Bachar el-Assad, cosa ritenuta inaccettabile dall’Europa fino a poco tempo fa, ma anche sulla portata geostrategica che un simile intervento militare non mancherà di produrre a livello regionale e internazionale. La domanda quindi si trasforma: ”Quale ruolo potranno avere i tentativi diplomatici in corso e da Lei sostenuti, per porre fine alla guerra in Siria, tenuto conto di tutti gli interessi in gioco e in particolare della linea di spartizione fra potenze sunnite e sciite nella regione, soprattutto fra Turchia, importante Paese membro della NATO, e Arabia saudita da una parte e Iran dall’altra?”
Gentile Presidente, ho ascoltato con attenzione il discorso da Lei pronunciato davanti all’Assemblea Generale dell’ONU il 15 settembre scorso. Riprendo alcune delle Sue parole: “Assicurare la pace e la stabilità regionale globale rimane l’obiettivo chiave della comunità internazionale, con le Nazioni Unite al timone. Crediamo che questo significhi creare uno spazio di sicurezza equa ed indivisibile che non sia tale per pochi, ma per tutti. Sì, è un impegno faticoso, difficile e che richiede tempo, ma semplicemente non ci sono alternative”.
A questo punto, Gentile Presidente, mi auguro e Le auguro che le Sue parole trovino un inizio di realizzazione a partire da questo nuovo anno 2016. E, se possibile, ricorrendo meno alla guerra e di più alla diplomazia.