Il malcontento e le proteste della popolazione, in particolare di quella che ha sempre fatto sentire la sua voce a Piazza Tahrir anche dopo la caduta di Hosni Mubarak nel febbraio 2011, non si sono mai sopiti, segnando ora con la violenza, ora con l’incertezza la storia di questa sofferta Primavera araba egiziana. In queste ultime settimane la situazione è precipitata ed è diventata esplosiva, quasi da guerra civile, mettendo definitivamente a nudo la profonda divisione che si è venuta a creare nella popolazione fra i sostenitori e gli oppositori del Presidente Morsi, fra coloro che avrebbero voluto uno sviluppo laico della rivoluzione e coloro che sostengono i Fratelli musulmani e la loro politica di islamizzazione della società egiziana.
La partita non è da poco, se si considera, da una parte, il numero di vittime che questa divisione e questi scontri hanno già causato e dall’altra la destituzione, il 3 luglio scorso, del Presidente Morsi da parte dell’esercito, accompagnata dalla sospensione della Costituzione, dal conferimento del potere al Presidente della Corte costituzionale e, in questi ultimi giorni, dalla decisione di nominare un nuovo Primo Ministro e formare un nuovo Governo. La Fratellanza Musulmana, condannata da buona parte della società egiziana, considera tutto ciò un autentico “colpo di stato”.
Certo è che l’apertura di questo nuovo periodo di transizione conferma, per la seconda volta dall’inizio della Rivoluzione, quanto importante sia ancora la forza dell’esercito nella gestione politica del Paese, tanto da rovesciare, nel giro di poche ore, il profilo che stava assumendo l’Egitto e da aprire nello stesso momento scenari del tutto imprevedibili e senza concrete promesse di tregua o dialogo. Dopo la caduta di Mubarak infatti, l’esercito aveva assunto i pieni poteri, aveva promesso una “transizione pacifica verso un potere civile eletto”, aveva sospeso la Costituzione e sciolto il Parlamento. Il periodo di transizione dal potere militare a quello civile si concluse con le elezioni legislative del novembre 2011/gennaio 2012 e la vittoria dei Fratelli Musulmani nonché con le elezioni presidenziali del giugno 2012, le prime elezioni libere nel Paese, e la vittoria del candidato della Fratellanza, Mohamed Morsi.
A poco più di un anno da questa elezione presidenziale, la destituzione di Morsi da parte dell’esercito riporta l’Egitto al punto di partenza, al febbraio 2011, ma con in più la pesante esperienza del suo primo esercizio democratico profondamente fallimentare, mettendo particolarmente in questione il triplice rapporto fra islam, politica e democrazia. La gestione del potere da parte dei Fratelli Musulmani e del Presidente Morsi non è stata in grado, o non ha voluto, considerare le aspirazioni di gran parte della popolazione, non ha favorito il dialogo e il compromesso, ha imposto una Costituzione non condivisa, ha cercato di islamizzare ogni aspetto della società civile e non ha affrontato la grave crisi economica che attraversa il Paese. Quindi, se da un lato, buona parte della popolazione voleva che il Presidente Morsi se ne andasse, dall’altro, rimane il fatto che il Presidente sia stato destituito dall’esercito, un segnale che minaccia la possibilità di un ricambio attraverso un percorso democratico e legittimato dalle urne.
La nuova transizione in corso, nelle mani di un Governo che stenta a prendere corpo e che prevede elezioni legislative e presidenziali nel giro di alcuni mesi, non sarà certo di facile gestione, visto “il muro contro muro” che si è venuto a creare fra le due anime della popolazione egiziana. Ci vorranno ancora molti esercizi e molte prove di dialogo per rimettere sui binari il processo democratico, per trarre le dovute lezioni e per scongiurare il pericolo di cadute in nuove dittature. Non ne va solo del futuro dell’Egitto, ma della stabilità dell’intera regione, dove da tre anni a questa parte si stanno muovendo nuovi protagonismi e nuovi interessi geopolitici.