Le barriere dell’Europa e un Medio oriente in fiamme.

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Era il 25 aprile 2016 quando si sono incontrati ad Hannover, in un formato G5, quattro leader europei, Merkel, Cameron, Hollande e Renzi, con il Presidente degli Stati Uniti. Il vertice, in un giorno di commemorazione così significativo per l’Italia, ha fornito l’occasione ad Obama per richiamare alla memoria degli europei quel progetto unico e lungimirante di Unione nato all’indomani della seconda guerra mondiale. Un progetto oggi in profonda crisi, in grave pericolo di dissoluzione politica, sotto pressione delle gravi instabilità che insistono ai suoi confini meridionali e orientali e dalle ondate di profughi e richiedenti asilo che bussano incessantemente alle sue porte per cercare riparo dalle guerre e dal terrorismo. Le parole di Obama, nell’affrontare i temi di politica internazionale all’ordine del giorno, Libia, Siria, ma anche le sanzioni alla Russia, sono state di accorato appello “ad un’Europa forte ed unita, perché di questo hanno bisogno non solo gli Stati Uniti, ma il mondo intero”.

E proprio di fronte all’emergenza, alla necessità di una forte posizione comune in politica estera e di sicurezza per affrontare la più grande sfida umanitaria dei nostri tempi, l’Europa alza barriere di filo spinato alle sue frontiere esterne ed interne, si divide e si indebolisce, ricattata come non mai da quei populismi e nazionalismi sempre in agguato, in particolare quando si avvicinano scadenze elettorali.

Ed è in queste condizioni, purtroppo, che l’Europa guarda alle turbolenze del Medio Oriente e alle tragiche conseguenze che ne derivano. A poche miglia dalle coste europee si sta infatti consumando un vero e proprio braccio di ferro in Libia per la tenuta del Governo di riconciliazione nazionale di Fayez al Serraj, sostenuto dall’ONU e sul quale si fondano le speranze per una futura stabilità del Paese. Stabilità e riconciliazione sono certamente di strategica importanza non solo per la Libia, ma per l’intero Medio Oriente, per l’Europa, per la lotta al terrorismo e per combattere la tratta dei migranti. Una prospettiva che necessita di un forte impegno e sostegno politico da parte della comunità internazionale per accompagnare il processo di legittimazione di cui questo fragile Governo ha fortemente bisogno. Ed è proprio per questo che è giunta, alla riunione di Hannover, la richiesta di aiuto da parte di al Serraj all’ONU per la protezione dei pozzi e degli impianti petroliferi libici, sempre più spesso sotto attacco dei terroristi del sedicente Stato islamico.

Ma l’attenzione dell’Europa dovrebbe rivolgersi anche alla Siria, Paese ormai distrutto da una guerra che dura da più di cinque anni. La tregua in vigore da fine febbraio è stata completamente azzerata da nuovi e violenti combattimenti che infuriano intorno ad Aleppo, sospendendo in tal modo i fragilissimi colloqui di pace di Ginevra. Il rappresentante dell’ONU ha lanciato in queste ore un appello alla diplomazia e alla comunità internazionale perché intensifichino gli sforzi per salvare il processo di dialogo, un appello rivolto soprattutto a Stati Uniti e Russia.

In questo contesto così esplosivo, carico di conseguenze politiche, economiche e culturali per i nostri Paesi, appare sempre più inquietante la risposta di un’Europa che ha scelto di costruire barriere intorno e dentro di sé.

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