Sarà il caso di prendere nota di questo giorno, 12 luglio 2025, per la storia e il futuro dell’Unione Europea e non solo. La decisione di Donald Trump di imporre dazi del 30% sul commercio europeo verso gli Stati Uniti non può non segnare una svolta nelle relazioni transatlantiche già ampiamente manomesse da Washington in questa prima metà dell’anno, con riferimento ai fronti di guerra nel conflitto della Russia contro l’Ucraina e in quello israelo-palestinese.
I segnali di un peggioramento dei rapporti USA-UE non sono certo mancati, forse occultati dalla logica contraddittoria di un Trump ad alto tasso di imprevedibilità, e sono probabilmente stati sottovalutati. A Bruxelles, dalle permanenti incertezze e divisioni tra i Ventisette; a Roma da una illusoria capacità di proporsi come pontiere tra le due sponde dell’oceano.
Adesso tutto dovrebbe almeno essere chiaro. Basta mettere in fila alcuni di questi segnali: le pretese di espansione territoriale di Trump sul continente europeo con le minacce alla Groenlandia, la sorprendente legittimazione della Russia nella sua aggressione all’Ucraina, un Paese massacrato dal quale ricavare risorse in materie prime critiche come rimborso per il sostegno dato all’Ucraina dal suo predecessore, l’imposizione agli alleati NATO di un aumento della spesa militare del 5% entro il 2035, la disponibilità a fornire armamenti militari all’Ucraina a patto che a pagarli siano gli alleati e, adesso, la stangata sui dazi dopo tutte le umilianti concessioni europee di questi ultimi giorni che non sono servite a niente.
Ormai per l’Unione Europea non è più il momento di salvare la faccia, ma quello esistenziale di salvare la pelle. Non tanto e solo la pelle dell’economia, minacciata da una pesante recessione, ma quello molto più importante – ed esistenziale – della sua dignità di attore internazionale e della sua credibilità politica agli occhi del resto del mondo.
Per cominciare ci aspettiamo adesso almeno un rimbalzo di orgoglio; da parte della incompiuta ma non inerme sovranità europea e delle fragili sovranità nazionali. Lo ha appena fatto il Brasile, punito con dazi del 50% per il suo rifiuto di piegarsi all’arroganza dell’imperatore nord-americano, lo aveva fatto con ben altra forza economica e commerciale la Cina, potrebbe rifarsi sentire il Canada e riprendere coraggio Giappone e Paesi limitrofi.
Basta uno sguardo alla carta geografica per prendere coraggio: il mondo non coincide con gli Stati Uniti, la sua forza economica risiede in un Prodotto interno lordo di poco superiore a quello UE, 25 a 22, le sue infrazioni alle regole e ai patti internazionali sono lungi da rendere Trump affidabile, la fragilità delle finanze pubbliche USA, in particolare con la nuova legge di bilancio, potrebbero farne presto il “malato del mondo” e, in tempi non lunghi, provocare un risveglio negli incauti elettori americani già alle elezioni parlamentari dell’anno prossimo, sempre che l’indebolimento della democrazia nazionale non si traduca in un’autocrazia dell’uomo – e che uomo! – solo al comando.
Rialza la testa, vecchia Europa! Fossero ancora qui i tuoi Padri fondatori non esiterebbero a farsi sentire e se la “madre” defilata che oggi presiede la Commissione europea e la “sorella d’Italia”, che a Roma vantava relazioni speciali con l’aggressore americano, non saranno all’altezza della sfida, altri vengano in soccorso. Non c’è più tempo da perdere.