La Russia dopo l’Unione Sovietica

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Era il 26 dicembre 1991 quando crollò l’impero sovietico. Una brutale e rapida svolta della Storia che ha scosso il mondo, ha messo fine ad una guerra fredda che durava dal 1947, apriva nuovi e inesplorati scenari geopolitici e proponeva nuove sfide ideologiche e politiche.

Sono trascorsi trent’anni da quella data, considerata dall’attuale presidente della Russia, Vladimir Putin, come il giorno della “più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”. Parole che gettano ancora oggi tutta la loro inquietante ombra sulle difficili relazioni tra Mosca e l’Occidente, in un contesto globale in continua evoluzione e con l’affermarsi in modo sempre più deciso della presenza cinese nel mondo.

E’ cambiata in particolare la geografia delle frontiere fra l’ex Unione Sovietica e l’Europa: molti Paesi che facevano parte fino a quel giorno dell’Impero, sono diventati Paesi membri dell’Unione Europea e hanno aderito alla NATO, facendo crollare quell’antico Patto di Varsavia che li legava a Mosca. Altri Paesi, dopo aver acquistato l’indipendenza, si sono ritrovati in quella terra di mezzo e di frontiera diventata oggi oggetto di competizione geopolitica fra la Russia e l’Occidente, come l’Ucraina o la Georgia. Paesi che guardano all’Europa e che scontano tuttavia le ricadute di quella “catastrofe”, vissuta, soprattutto dal Cremlino di Putin, come un’umiliante perdita, di fronte al mondo, di uno storico potere e prestigio. 

Trent’anni difficili per la Russia, segnati da crisi economica e sociale, dalle guerre in Cecenia e dal terrorismo, da un’economia basata quasi esclusivamente sullo sfruttamento del gas, dal dialogo sempre più problematico con l’Occidente e con gli Stati Uniti in particolare.  Anni in cui si facevano  strada, nel cuore del Cremlino, due orientamenti per il futuro della Russia. Primo, la possibilità di recuperare quello spazio sovietico che aveva  gli occhi puntati ad Ovest e desideroso di entrare nella NATO, quella NATO che si avvicinava sempre di più alle frontiere russe e che alimentava a Mosca quell’inaccettabile  sentimento di accerchiamento e faceva salire tensioni e paure dalle due parti della frontiera. Secondo, portare la Russia a ritrovare, sullo scacchiere internazionale, un ruolo e una presenza significativi e all’altezza di un attore globale. 

Questi orientamenti prendono particolare rilievo a partire dal 2008 con la guerra in Georgia, nel 2014 con l‘annessione della Crimea, nel 2015 con l’inizio della guerra nel Donbass nella parte orientale dell’Ucraina da parte dei secessionisti sostenuti da Mosca. Una guerra che ha già fatto circa 15.000 vittime, che non conosce tregua malgrado i ripetuti accordi di cessate il fuoco e non trova più terreno di dialogo nel quadro degli accordi di Minsk.

Oggi, la situazione ai confini dell’Ucraina è particolarmente tesa: importante dispiegamento di forze militari russe alla frontiera con la minaccia di aggredire l’Ucraina e la formale richiesta da parte di Putin alla NATO e in particolare agli Stati Uniti, di un Trattato che garantisca il non allargamento dell’Alleanza atlantica ad Est. Una risposta da parte degli Alleati che per ora minaccia gravi sanzioni alla Russia, ma che non riesce a nascondere tutte le divisioni interne e le difficoltà ad adottare una posizione strategica comune, cosa che certamente non sfugge allo stesso Putin. 

Si gioca quindi in Ucraina, ancora una volta, un braccio di ferro geopolitico tra Est e Ovest. In mezzo l’Europa, anch’essa alla ricerca di un suo rapporto con la Russia, vicino sempre più inquieto e aggressivo e con il quale dovrà continuare ad esplorare tutte le vie per tenere vivo il dialogo della diplomazia.

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