La povertà non è un incidente: è ora di investire nella spesa sociale

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Secondo gli ultimi dati Eurostat, relativi al 2011, in Europa ci sono 119 milioni di persone a rischio povertà, cioè che vivono in nuclei familiari il cui reddito disponibile è inferiore al 60% del reddito medio nazionale.

Il dato è in crescita negli ultimi anni (nel 2008 era a rischio di povertà il 23,5% della popolazione UE e si è passati nel 2011 al 24,2%) e questo spiega probabilmente anche il crescendo di attenzione al tema registratosi dal 2010 a oggi .

Proprio il 2010, infatti è stato proclamato Anno Europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale e si arriva all’inserimento della lotta alla povertà e all’esclusione tra le “azioni faro” della Strategia Europa 2020: nel documento si parla di «portare fuori dal rischio povertà almeno 20 milioni di persone entro il 2020».

Sulla strada che condurrebbe a questo obiettivo si immette come un macigno la crisi finanziaria, economica e sociale che ha colpito l’Europa dal 2008. Nell’UE si produce sempre meno (i tassi di crescita del prodotto interno lordo sono in calo ormai da tempo e, relativamente al primo trimestre 2013, Eurostat segnala un calo dell’1% su base annua) e ci sono sempre più disoccupati (26 milioni e mezzo secondo Eurostat nel maggio 2013; 5 milioni di età inferiore ai 25 anni).

A impedire il raggiungimento dell’obiettivo fissato dalla Strategia Europa 2020, sono anche quelle che il presidente dell’European Anti Poverty Network (EAPN), Sergio Aires, ha definito, in occasione del dodicesimo incontro delle persone che sperimentano la povertà (Bruxelles, 19-20 giugno 2013), «scelte politiche sbagliate», riferendosi ai tagli alla spesa sociale, al rigore e all’austerità, scelte deliberate dagli Stati membri e, a livello comunitario, in sede di Consiglio dei ministri e di Consiglio Europeo; scelte in forza delle quali, come sostiene lo stesso Aires «La povertà non è  un incidente».

Anche dall’Incontro del 19 e 20 giugno scorso – che rappresenta un’importante occasione per mettere gli uni di fronte agli altri i decisori politici nazionali ed europei e le persone economicamente o socialmente vulnerabili e ormai vulnerate – dunque, sale chiara una richiesta di «cambio di rotta»; quella stessa richiesta che era stata avanzata dalla Confederazione Europea dei Sindacati (CES) che, già dal 2012, aveva proposto un «contratto sociale per l’Europa» ma anche da alcuni leader europei: François Hollande che ha recentemente addebitato all’austerità la responsabilità della recessione europea, Enrico Letta che sin dai primi giorni del suo mandato ha lavorato alla costruzione di un “fronte europeo anti-austerità” e, per certi versi la stessa Angela Merkel che ha recentemente sostenuto che «il rigore non basta più», schierandosi a favore della crescita e della competitività.

La stessa Commissione europea, per bocca del commissario per l’Occupazione e gli Affari Sociali Lazlo Andor ha riconosciuto durante l’Incontro la «mancanza di progressi nel raggiungimento degli obiettivi 2020 in tema di lotta alla povertà» ma ha richiamato l’attenzione dei presenti su alcune recenti proposte legislative, in particolare il pacchetto investimenti sociali che contiene azioni specifiche contro la povertà infantile, misure di sostegno ai senza dimora, proposte di adeguamento dei sistemi di reddito minimo. Altre misure evocate dal commissario come segno della volontà europea di impegnarsi con maggiore intensità nel contrasto alla povertà e all’esclusione sociale sono state: il sistema “Garanzia per i Giovani” in tema di occupazione giovanile, il Fondo di aiuto agli indigenti (proposto nell’ottobre 2012) e le proposte per un uso del Fondo Sociale Europeo (FSE) maggiormente indirizzato alla lotta all’esclusione.

Fino qui dunque le proposte che il Parlamento europeo e soprattutto il Consiglio dell’Unione Europea dovranno tradurre in atti legislativi che dovranno essere successivamente fatte proprie dagli ordinamenti nazionali e per le quali si dovranno trovare risorse sia a livello comunitario (e un debole positivo segnale viene dall’accordo raggiunto in sede di Consiglio europeo a proposito del bilancio 2014-2020, con i nove miliardi in due anni stanziati per l’occupazione giovanile) sia a livello nazionale (e va ricordato qui che le politiche di Welfare e soprattutto le politiche fiscali che le finanziano sono ancora gestite dai governi nazionali).

Ai leader politici nazionali ed europei, dunque si chiede un «cambio di rotta» tale per cui i costi sostenuti per il Welfare non siano più una spesa da tagliare ma un investimento sul benessere dei cittadini e sulla loro fiducia nelle istituzioni. Lo chiedono ottanta milioni di persone (tanti sono oggi secondo Eurostat i poveri) e lo chiedono soprattutto quelle persone – secondo EAPN sono cinque milioni – che sono diventate povere dal 2009 a oggi, a causa della crisi ma anche delle scelte di rigore e austerità.

di Marina Marchisio

1 COMMENTO

  1. Ormai solo Berlusconi crede ancora al reaganismo. Finché sarà al governo sarà impossibile fare politica sociale.

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