La legge di stabilità nella tenaglia dell’Europa

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Molti commenti hanno accolto la legge di stabilità presentata dal governo italiano. Le critiche, perlopiù severe, hanno di gran lunga superato i consensi e rivelato ancora una volta quanto sia difficile trovare un equilibrio tra prudenza e coraggio, tra il risanamento finanziario e gli stimoli alla crescita, tra il ricorso alla leva fiscale e il taglio della spesa pubblica, tra le attese dei sindacati e quelle degli imprenditori e via elencando.

Ancora una volta a sostegno del governo è intervenuto il Presidente della Repubblica, invitando tutti a non confondere il coraggio con l’incoscienza, mentre i partiti delle “larghe intese” sembrano piuttosto allargare tra loro il dissenso sulle misure proposte, con un occhio ad ancora non scongiurate elezioni anticipate.

Come si vede, la legge di stabilità fin dal suo primo apparire si è trovata stretta in numerose “tenaglie” che ne annunciano un iter parlamentare a ostacoli, sotto una probabile pioggia torrenziale di emendamenti.

Ma un’altra “tenaglia”, non meno temibile, la aspetta: quella affidata all’Unione Europea – prima alla Commissione e poi al Consiglio dei ministri finanziari dell’eurozona – ai quali spetta dare il semaforo verde all’adozione finale della legge. Un confronto che accompagnerà governo e Parlamento italiano in tutto il mese di novembre, per consentire il primo “natale” europeo ad una legge dello Stato italiano, ampiamente vincolata dalle regole di Bruxelles, quelle contenute nel “fiscal compact”, ispirato dalla Germania, che sottrae largamente le leggi finanziarie dei Paesi dell’eurozona alla sovranità nazionale.

Chi sperava che dopo le elezioni tedesche, Berlino avrebbe alleggerito la pressione sull’austerità e il controllo dell’UE sui bilanci nazionali si illudeva. Sembra vero il contrario: Angela Merkel, forte del plebiscito elettorale che l’ha confermata alla Cancelleria per un terzo mandato – prima di lei c’erano riusciti solo Adenauer e Kohl – ha già fatto sapere che al Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo del 24-25 ottobre prossimo proporrà una modifica dei Trattati per proteggere i soldi dei contribuenti tedeschi dai disinvolti Paesi lassisti, incapaci di ridurre la spesa pubblica e di rientrare dal debito che li zavorra.

Così il governo Letta dovrà navigare a vista tra Scilla e Cariddi: tra le spinte elettoraliste delle corporazioni italiane e le esigenze dell’UE, tra le turbolenze dei partiti che – si fa per dire – lo “sostengono” e le opposizioni decise a non perdere l’occasione di incassare voti da quel malcontento popolare che alimentano spesso in modo irresponsabile.

Sono in molti a sperare che il “mestiere” e la cultura del compromesso in cui è cresciuto Letta gli consenta di volare, magari basso, ma senza precipitare: novello Icaro, attento a non farsi troppo aspirare verso l’alto dai diktat dell’Europa alla tedesca, ma anche resistendo all’inerzia della politica e della società italiana, una palude che tarperebbe le ali a lui e all’Italia.

Riuscirci ha il sapore di un miracolo, ma qualche volta può anche capitare.

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