La globalizzazione spiegata alla sinistra

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Capire la complessità   della globalizzazione non è facile. Raccontarla è anche più difficile, forse addirittura impossibile se non inutile, a chi tiene lo sguardo rivolto ai propri piedi, al piccolo pezzo di terra su cui abita, e a chi si ostina a guardare fisso il dito che indica la luna.
Di questa cattiva abitudine sono spesso responsabili i media, quelli nazionali in particolare, che abbondano in cronaca locale e ancora collocano l’Europa nelle pagine dell’estero, in perfetta coerenza peraltro con il traballante leader della Lega che del presidente del Consiglio in partenza per Bruxelles disse che «andava in Europa». Se era un lapsus aveva qualcosa di geniale, perchà© a suo modo diceva – ohimà© per noi – una verità   su questa Italia alla deriva.
Per quelli che invece vogliano alzare lo sguardo verso l’orizzonte per scrutarne il futuro, allora vale la pena suggerire una lettura gradevole e nitida di un osservatore che il mondo ha avuto modo di indagarlo con attenzione, prima in Europa poi in Asia e adesso negli USA.
Il recente libro di Federico Rampini, Alla mia Sinistra, è un racconto di chi ha occhi per vedere e lucidità   per parlare: della vecchia sinistra ingessata di un tempo e di quella molto diversa sparsa oggi per il mondo ma che stenta a trovare un linguaggio e un progetto comune. Prima una serena autocritica della militanza nelle fila del PCI e dei ritardi a capire che cosa accadeva in Unione Sovietica, poi lo stupore nello scoprire l’immensa vastità   e diversità   della nuova Asia e in particolare l’universo di Cina e India, L’impero di Cindia, descritto in un libro precedente cui seguì, tra gli altri, Occidente estremo, sulla transizione in corso tra l’ascesa della Cina e il declino della potenza americana. Non meno interessante il capitolo sul Brasile di Lula e di Helder Camara, un grande Paese che è riuscito a coniugare la crescita con una sensibile riduzione delle disuguaglianze anche se gravi restano i problemi ancora da risolvere.
Più amare, e non poteva essere diversamente, le pagine dedicate alla «mia Italia volgare e gaudente», prima sotto la lente dell’Europa e poi sotto quella dei sempre più perplessi nostri alleati americani. Ne derivano da una parte interrogativi sul futuro della sinistra italiana e, dall’altra, piste da battere in futuro per incrociare le sinistre vive in molte altre parti del mondo e con loro trovare «una à¢à¢â€š¬à‹Å“narrazione comune’ che tenga insieme i bisogni e le aspirazioni non di una sola categoria, non di una sola nazione, ma dell’umanità   intera. Essere di sinistra vuol dire inseguire un progetto che possa far bene all’Asia e all’Africa mentre fa bene a noi; perchà© un progetto simile deve esistere, altrimenti l’umanità   è condannata a ripetere cicli di errori e tragedie» (p. 79).
In questo suo ultimo lavoro, Federico Rampini si interroga su un mondo che sta cambiando rapidamente, non tutto messo in ginocchio dalla crisi come il vecchio Occidente finge di credere, ricco di prospettive mentre è in corso una «redistribuzione della speranza», uno spostamento delle frontiere mondiali dell’ottimismo che ci dice che «è sbagliato avere una visione calamitosa del mondo in cui viviamo e cercare nella globalizzazione solo le catastrofi» (p. 103).
Di qui un invito pressante: «un giovane italiano di oggi ha bisogno di spiccare il volo, andare a vedere à¢à¢â€š¬à‹Å“il resto del mondo’, quello che non è Occidente, quello dove si respira ottimismo, fiducia nelle proprie capacità   di cambiare il futuro, energia vitale, voglia di fareà¢à¢â€š¬à‚¦Nei paesi dove sta avvenendo la redistribuzione della speranza c’è sempre qualcosa da imparare, qualche idea da portarsi a casa» (ibid.).

Federico Rampini, Alla mia Sinistra, Mondadori 2011, 18 à¢à¢â‚¬Å¡à‚¬

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