La bandiera europea della Georgia

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Nelle scorse notti i giovani georgiani si sono riversati a migliaia nelle vie di Tbilisi per fermare la deriva di un Governo sempre più attratto dalle pericolose sirene di Mosca. In ballo, una legge che ricorda quella adottata nel 2012 da Putin sugli “agenti stranieri” e che di fatto aveva ed ha come obiettivo quello di controllare e mettere le briglie alla libertà di espressione dei media e delle organizzazioni della società civile. 

Una simile legge, già condannata a suo tempo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, stava per essere introdotta anche in Georgia, sfidando quel desiderio di avvicinamento all’Occidente,  all’Europa e alla NATO, cresciuto da anni a questa parte, nella maggior parte della popolazione georgiana. 

La forza e la determinazione delle proteste, gli echi della guerra in Ucraina e il sostegno alla resistenza ucraina,  hanno portato alla revoca, da parte del partito di  maggioranza al Governo “Sogno georgiano”, della legge in questione e alla liberazione dei dimostranti arrestati. Una revoca che non fermerà la vigilanza e l’attenzione dei georgiani fino a quando tale legge non sarà definitivamente abbandonata. 

La Georgia “europea”, incastonata in quel pezzo di Caucaso del Sud che va dal Mar Nero al mar Caspio, ai confini meridionali della Russia, ha ormai alle spalle una storia lunga di vent’anni da quando, con la  Rivoluzione delle Rose nel 2003, arrivo’ al potere una giovane generazione che guardava già verso l’Europa e i suoi valori.  Mikheil Saakashvili, denunciando brogli elettorali e contestando l’elezione di Eduard Shevardnadze, personaggio legato al passato sovietico, venne eletto, nel 2004, a stragrande maggioranza,  Presidente di un piccolo ma geograficamente strategico Paese che voleva guardare lontano, soprattutto lontano dalla Russia.

Una rivoluzione che anticipo’ di pochi mesi la prima rivoluzione arancione del 2004 in Ucraina, rivelando, proprio nell’anno della grande adesione all’Unione europea di molti Paesi appartenenti all’ex Impero sovietico, una tenace determinazione ad uscire da quell’”estero vicino” di Mosca, sempre sotto torva sorveglianza del Cremlino, per raggiungere la famiglia europea.

La rivoluzione delle rose non ebbe vita facile e nel 2012 dovette arrendersi con l’arrivo al potere di un partito dalla denominazione ambigua, “Sogno georgiano”, partito vicino a Mosca e guidato da un robusto oligarca. Sul suo percorso la rivoluzione aveva tremato a più riprese, in particolare nel 2008, quando l’esercito russo, inaugurando una tattica rivelatasi strategica, entro’ in Georgia con l’obiettivo di sostenere le regioni separatiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Una guerra durata pochi giorni, ma pur sempre una guerra, che ha portato al riconoscimento della sovranità e dell’indipendenza, da parte della Russia, delle due Repubbliche. Una tattica destabilizzatrice e di controllo nei confronti di Paesi dell’ex spazio sovietico e ai confini della Russia che Putin non ha esitato ad usare anche nel 2014 nei confronti della Crimea ed oggi con le Repubbliche separatiste del Donbass, Lugansk e Donetsk.

Non è difficile immaginare oggi e a ridosso di questo scenario, la sfida che le manifestazioni di Tbilisi rappresentano. Se la popolazione georgiana è determinata a portare avanti il suo progetto nato vent’anni fa, l’Unione Europea non può non rispondere ritardando la prospettiva di adesione, prospettiva già concessa a Ucraina e Moldavia. Cresce, nel frattempo, l’attenzione della Russia al riguardo, la quale, con parole preoccupanti, attira l’attenzione sulle “tensioni” ai suoi confini meridionali.

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