L’Italia e il primato europeo delle infrazioni

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Non è vero che l’Italia perde posizioni su tutti i fronti rispetto agli altri Paesi europei. Se infatti retrocede quanto a produttività   e forse sta per essere sorpassata dalla Spagna quanto a produzione di ricchezza (con il rischio di diventare presto il nono Paese in seno al G8 che raccoglie, come dice la sigla, gli otto Paesi più sviluppati del mondo), nessuno contesta un altro suo tradizionale e inavvicinabile primato: quello di essere nell’UE il Paese con il più alto numero di infrazioni alle normative europee.
L’ultima classifica ufficiale è quella del maggio scorso: l’Italia svetta nella prima posizione con 153 infrazioni aperte lasciandosi dietro, a molte lunghezze, Spagna (108), Francia (99), Grecia (89) e quasi doppiando il deprecato Regno Unito, accusato di scarso europeismo ma accreditata di sole 59 infrazioni. Sono numeri che parlano chiaro, anche se meriterebbero qualche approfondimento di merito (non tutte le infrazioni rivestono uguale gravità  ), ma anche qualche aggiornamento alle ultime vicende di questi giorni e ad incombenti trasgressioni future.
Per l’aggiornamento della classifica dove si va consolidando il nostro primato, limitiamoci all’attualità   di questi giorni e a non arrischiati pronostici per un futuro ravvicinato.
Solo la settimana scorsa la Corte di Giustizia europea ha recapitato al nostro Paese una solenne bocciatura del regime italiano di assegnazione delle frequenze televisive e questo nello stesso giorno in cui la Commissione europea intimava all’Italia di adottare entro un mese misure risolutive, nell’immediato e a termine, per lo smaltimento dei rifiuti in Campania, pena pesanti sanzioni pecuniarie.
In entrambi i casi un intervento non proprio precipitoso ma l’esito di ripetuti avvertimenti, tutti disinvoltamente inascoltati, rispetto a problemi noti da lungo tempo.
In particolare durava da nove anni la controversia a proposito delle frequenze televisive negate a Europa 7, vincitrice nel 1999 della gara per la concessione nazionale di frequenze di cui non si è mai potuta avvalere perchà© quel suo legittimo spazio era stato abusivamente occupato dalla berlusconiana Rete 4. Nà© era valso a qualcosa che la Corte costituzionale italiana stabilisse che quest’ultima dovesse liberare la frequenza entro il 31 dicembre 2003: a bloccarne l’esecuzione ci pensಠgiusto in tempo, una settimana prima di quella scadenza, l’allora ministro delle Comunicazioni Gasparri con un decreto controfirmato proprio da Berlusconi.
Così sono andate le cose in Italia senza peraltro che il successivo governo Prodi, con un raro approccio bipartisan, sanasse la situazione.
Ma così non vanno le cose in Europa e ora il nodo è tornato al pettine, riproponendo nell’Unione europea il tema del pluralismo dell’informazione già   chiaramente segnalato qualche tempo fa dal Parlamento europeo con un’esplicita denuncia della situazione italiana.
Della vicenda dei rifiuti e dei molti richiami da parte dell’UE già   si è detto e ripetuto e sono pochi gli italiani che pensano a un possibile miracolo entro la fine di febbraio. Con la crisi politica e le elezioni in vista è improbabile che il richiamo di Bruxelles sortisca l’effetto atteso, molto più probabile che arrivino le salate multe annunciate.
Intanto altri analoghi e anche più gravi segnali arrivano da Bruxelles ad annunciare possibili se non probabili infrazioni future e questa volta sul delicato problema del risanamento dei conti pubblici italiani.
àˆ di pochi giorni fa il monito della Commissione europea all’Italia in occasione della valutazione del programma di stabilità  : «Un debito pubblico sopra il 100% e la situazione di bilancio ancora relativamente debole, nonostante i progressi realizzati, aumentano le incertezze sul fronte economico, rendendo l’Italia vulnerabile all’aumento dei tassià¢à¢â€š¬à‚¦impedendo anche un utilizzo più produttivo delle risorse pubbliche». Il riferimento dell’Europa è al programma di legislatura che impegnava per il 2011 l’Italia all’azzeramento del deficit annuale (nel 2006 a -4,4 e oggi attorno a -2,4%) e la riduzione del debito di ben dieci punti (nel 2006 al 106,8%, oggi al 105%, fino al 95% nel 2011). Con la crisi finanziaria in corso, la riduzione delle previsioni di crescita e, nel nostro scriteriato Paese, con la crisi politica di non breve periodo che ci aspetta quegli obiettivi sembrano ormai fuori portata con l’Italia alla vigilia di un’altra sanzione per infrazione grave.
Un’infrazione in più per un Paese come l’Italia, già   saldamente in testa alla classifica delle trasgressioni, potrà   sembrare a qualcuno poco rilevante. Proprio come poco rilevante – e affidabile – rischia di tornare a essere l’Italia agli occhi dell’Europa, che assiste in questi giorni sconcertata alla lenta e inarrestabile deriva di un Paese che, cinquant’anni fa, governanti di ben altra statura morale e politica impegnarono nella costruzione dell’attuale Unione europea.

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