Italia contromano nell’Unione Europea

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In politica, come nel resto della vita, ci sono le parole e i fatti e quando tra i due qualcosa non funziona allora è bene cercare di vederci chiaro. Vale anche per i rapporti tra la nuova maggioranza al governo e l’Unione Europea.

Le parole, che prima delle elezioni del 22 settembre scorso avevano toni aggressivi tra le forze politiche, in particolare di destra, verso l’UE e le sue politiche hanno mutato di tono abbassandone l’asprezza, anzi lasciando intravvedere un ravvicinamento al processo di integrazione comunitaria. 

Vi aveva probabilmente contribuito l’intervento straordinario dell’UE, nel giugno del 2020, con la creazione di un debito comune europeo di 750 miliardi di euro, quasi 200 dei quali destinati all’Italia per il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR). 

Un’ulteriore spinta in favore di una solidarietà europea è venuta anche dalla risposta all’aggressione russa in Ucraina, implementando nella nuova maggioranza una forma di euro-atlantismo, anche se con un equilibrio ancora da chiarire tra le sue due componenti.

Il prossimo 22 marzo il nuovo governo compirà cinque mesi di vita e può essere utile verificare la corrispondenza tra parole e fatti, a fronte delle importanti frizioni che si manifestano tra i due versanti. Si tratta di frizioni che si traducono in tensioni tra Roma e Bruxelles e che ci accompagneranno nei prossimi mesi, con il rischio che andando troppo contromano si finisca per andare a sbattere.

È già evidente da un pezzo nel settore dell’economia, come nel caso della rinegoziazione del “Patto di stabilità” e dei nuovi vincoli per il bilancio dell’Italia, della sollecitata possibilità di revisione del PNRR, dello stato delle riforme da questo previsto, in particolare in materia di concorrenza – si veda il conflitto in corso sulle concessioni balneari – e sul fronte di una riforma fiscale che riproporrà una “flat tax”  che lascia perplessa Bruxelles e, ancora, dell’allentamento dei vincoli sugli aiuti di Stato, in favore del quale Germania e Francia hanno prevalso sull’Italia.

Non mancano frizioni, anche se più contenute vista la sensibilità del tema, sulla politica monetaria della Banca centrale europea e l’aumento dei tassi, voluto dai “falchi” del nord, con un pesante impatto sul debito pubblico italiano. 

Non va meglio in materia di politica ambientale:  le scadenze convenute a Bruxelles per l’azzeramento delle emissioni del gas serra nel 2050 saranno difficili da rispettare, come anche quelle previste per il divieto di immatricolazione di auto con carburante a combustione nel 2035, decisione sulla quale è annunciata un’opposizione dell’Italia, come è il caso anche per la Direttiva sulle case green sull’efficientamento energetico nei prossimi dieci anni.

Si potrebbe proseguire con le tensioni in materia di politica sociale, in particolare per la lotta alla povertà con la nuova maggioranza italiana in retromarcia sul reddito di cittadinanza e contraria all’introduzione del salario minimo, per non parlare del mancato contenimento della spesa pensionistica.

Bollente intanto è la tensione del governo italiano con l’UE sul fronte dei flussi migratori, rilanciata dal tragico naufragio nel mare calabrese. In conflitto non sono solo le ricostruzioni del mancato salvataggio, con Bruxelles che difende l’operato dell’Agenzia Frontex e Roma che ritiene di aver fatto tutto il possibile, ma anche l’approccio a una politica migratoria più accogliente e il richiamo al rispetto dell’Accordo di Dublino e all’opera di salvataggio assicurato dalle Organizzazioni non governative nei nostri mari.

È lunga la lista – e non si esaurisce qui – delle frizioni tra Roma e Bruxelles, molte delle quali preludono a nuove alleanze politiche in vista delle elezioni del maggio 2024 del Parlamento europeo e del conseguente cambio dei futuri vertici istituzionali UE: una vicenda questa già in corso e che non mancherà di riservare sorprese.

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