Iran alle urne, tra sfide interne e un Medio Oriente in fiamme

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Fra i tanti Paesi al mondo chiamati alle urne in questo 2024 figura anche l’Iran, Paese sotto particolari riflettori per il suo regime autoritario e repressivo e per il suo ruolo in un Medio Oriente oggi segnato dalla guerra israelo-palestinese e dal pericolo di una pericolosa escalation.

Le elezioni tenutesi il primo marzo, avevano come obiettivo, da una parte, di eleggere i 290 deputati del Parlamento e dall’altra gli 88 membri dell’Assemblea degli esperti, incaricata quest’ultima del potente ruolo di designare “la guida suprema”. Guida suprema oggi impersonata dall’Ayatollah Ali Khamenei, al potere dal 1989, massimo esponente del clero sciita e massima autorità politica, nelle cui mani si sono concentrati, nel corso degli anni, tanti poteri. 

Ed è appunto la prospettiva di una prossima futura transizione della leadership iraniana che queste elezioni hanno visto, a fronte di una scarsa partecipazione al voto, l’ala conservatrice del potere e le sue conflittuali fazioni interne, assicurarsi ad ogni costo la vittoria elettorale, escludendo senza esitazioni dalla competizione i rappresentanti di quell’ala moderata e riformista più incline al dialogo e al rispetto dei diritti.

La scarsa partecipazione al voto, poco più del 40% dei 61 milioni di elettori, indica una sfida importante per la teocrazia costituzionale iraniana che, fin dal 1979, ha basato la sua legittimità sul consenso popolare. Molti i fattori che hanno pesato e pesano sull’astensione, dalla crisi economica e dalle sanzioni economiche che alimentano povertà fra una popolazione dall’età media di 33 anni e una disoccupazione giovanile che sfiora il 15%, a quello della violenta repressione in corso da due anni a questa parte del movimento “Donna, vita e libertà”. Un movimento che attraversa gran parte della società iraniana ed è diventato motore di una lenta e tenace trasformazione delle giovani generazioni. Non solo, ma l’astensione al voto solleva anche inquietudine ai vertici di uno Stato impegnato in una transizione di potere e in un cambio generazionale dalle prospettive incerte.

Con questa situazione interna l’Iran è anche un attore di peso nel contesto del Medio Oriente, segnato, oggi in particolare, dalla guerra israelo-palestinese, da molte altre fonti di crisi nonché da un potenziale rischio di escalation regionale. La posizione dell’Iran è legata a quello che viene definito “Asse della Resistenza”, una difesa avanzata per Teheran composta da milizie e attori sciiti accomunati dalla resistenza ad Israele e all’Occidente. Una galassia di attori che va dal Libano a Gaza, dalla Siria all’Iraq e allo Yemen e che, con il passare del tempo e malgrado il filo economico e militare che li lega all’Iran, hanno tuttavia allentato i loro legami, hanno acquisito maggiore indipendenza e hanno adottato agende nazionali. 

Fin dall’inizio della guerra a Gaza, l’Iran, valutando le potenziali e devastanti conseguenze per il Paese, ha prudentemente cercato di evitare che il conflitto degenerasse a livello regionale, ma l’irruzione nello stesso conflitto di alcuni degli attori dell’Asse, in particolare dell’Hezbollah libanese o degli Houthi dello Yemen nel Mar Rosso, ha portato Teheran in una posizione di precario equilibrio, in difficoltà a controllare la crisi e di influire sulle conflittuali dinamiche regionali. 

Nello stesso tempo, l’Iran sfida l’Occidente stringendo legami sempre più forti con la Russia, inviando droni e vendendo missili. Non solo, ma Teheran, appena entrato nel gruppo dei BRICS, ha da tempo annunciato la tenuta di nuove esercitazioni navali con Russia e Cina a marzo, sottolineando la necessità “di rafforzare la sicurezza regionale”. Esercitazioni che si terranno al largo dell’Emirato di Oman, in un mare ad alta tensione e passaggio nevralgico per il commercio mondiale. Mare, dove poco lontano incrocia la marina statunitense e britannica e dove è presente, nel Mar Rosso, il nostro cacciatorpediniere Caio Duilio, a protezione europea del transito delle navi mercantili.

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