Inquietudini nell’Europa orientale e in Ucraina

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L’attualità estiva è stata particolarmente concentrata sulla tragedia afghana, sulle conseguenze del ritorno dei taleban al potere e sul significato di un tale ritorno dopo vent’anni di guerra per la comunità internazionale e, in particolare, per gli Stati Uniti. 

Riflessioni che chiamano anche l’Europa a ripensare al più presto il suo futuro e il suo ruolo sulla scena mondiale, a prendere decisioni sulla necessità, ormai inderogabile, di dotarsi non solo di una politica estera comune, ma anche di una sua difesa e di una sua autonomia strategica nei settori chiave, vista la rapidità con cui sta cambiando la geopolitica e come i grandi attori globali occupano la scena.

Emblematico al riguardo è stato, il 1° settembre scorso, l’incontro del Presidente ucraino Zelensky con il Presidente americano Biden, un incontro rimandato per ben due volte proprio a causa del drammatico ritiro statunitense dall’Afghanistan. Malgrado le non indifferenti e nuove preoccupazioni politiche di Biden, i due Presidenti hanno discusso e hanno riportato l’attenzione sulle frontiere orientali dell’Europa, su quell’Ucraina che quest’anno festeggia i suoi trent’anni di indipendenza, ma che si ritrova pericolosamente coinvolta in una guerra che la mette faccia a faccia con la Russia. E’ in corso infatti, dal 2014, nel Donbass, nella parte orientale dell’Ucraina, una guerra fra ucraini e indipendentisti filo-russi che ha già causato migliaia di vittime e quasi 2 milioni di sfollati interni. Sette anni di una guerra di cui non si vede una via d’uscita e che ha sullo sfondo quell’annessione della Crimea alla Russia di sette anni fa, un’annessione mai riconosciuta e tuttora ritenuta illegale dall’Unione Europea e da gran parte della comunità internazionale. 

Sul tavolo dei due Presidenti temi non da poco: in primo luogo e con il timore di un disimpegno da parte degli Stati Uniti dopo Kabul, il rinnovato desiderio dell’Ucraina di aderire alla NATO e di garantire la sua sicurezza e la sua integrità territoriale. Un desiderio accolto con prudenza da parte di Biden, visto che le tensioni in corso fra Occidente e Russia portano in gran parte sull’estensione della NATO ai Paesi dell’area ex sovietica. Non solo, ma un’adesione alla NATO dell’Ucraina implicherebbe l’intervento  dei membri dell’Alleanza atlantica in caso di aggressione contro il Paese. Una prospettiva inquietante che comprensibilmente non entusiasma gli Stati Uniti e che divide soprattutto l’Europa, fra Paesi più inclini al dialogo e alla cooperazione con la Russia e altri (soprattutto i Paesi dell’Europa orientale) favorevoli ad una linea più dura e intransigente. 

La visita a Washington del Presidente ucraino ha tuttavia avuto una risposta più concreta per quanto riguarda la difesa del suo Paese. Biden ha promesso un aiuto militare supplementare di 60 milioni di dollari, in particolare sotto forma di dispositivi di missili anticarro Javelin. Dal 2014, gli Stati Uniti hanno fornito circa 2,5 miliardi di dollari di aiuto alle forze armate ucraine, di cui più di 400 milioni solo nel 2021. 

Un aiuto che se da una parte interroga sulla coerenza della politica estera degli Stati Uniti al riguardo, interroga anche sulla politica dell’Unione Europea nei confronti della stabilità e della sicurezza ai propri immediati confini orientali e soprattutto nei confronti di un Paese sul quale preme con forza l’ingombrante vicino russo. 

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