In aprile doppia sconfitta per Orbán in Europa

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Viktor Orbán, il premier ungherese, aveva avuto ragione di gioire dopo la netta vittoria nelle elezioni parlamentari di metà aprile che lo confermavano al governo per un quarto mandato consecutivo. Comprensibile che lui stesso e i suoi amici sovranisti, che remano a tutta forza contro il processo di integrazione europea, nutrissero ulteriori speranze nelle altre due consultazioni elettorali del 24 aprile, quelle presidenziali in Francia e quelle legislative in Slovenia. 

Per le destre nazional-populiste invece non è andata bene: Emmanuel Macron è stato rieletto presidente della Repubblica con un netto vantaggio su Marine Le Pen e in Slovenia il premier populista Janez Janša – anch’esso come Orban un adepto della “democrazia illiberale – è stato nettamente sconfitto dal liberale Robert Golob con 11% di voti di vantaggio.

Alla vittoria di Macron in Francia non sono mancati i commenti, valutati con prudenza dai commentatori di diverso orientamento politico; del successo dello sloveno Gobb poco si è detto, nonostante il segnale venuto dalla Slovenia fosse largamente inatteso.

Nel primo caso, la Francia europeista ha resistito all’ondata delle destre nazionaliste con un buon margine di vantaggio, ma con Macron in perdita di consensi nonostante il 16% in più dei voti della Le Pen, che ha largamente migliorato il suo bottino. Quanto basta per aver fatto tirare un sospiro di sollievo a Bruxelles, senza tuttavia rassicurare sul peso politico dei sovranisti in un Paese fondatore della prima Comunità europea e protagonista, non sempre positivo insieme con la Germania, nel processo di integrazione europea.

La Slovenia “piccolo” Paese di poco più di due milioni di abitanti, entrato nell’UE nel 2004, non può certo vantare né le dimensioni demografiche ed economiche né il peso politico della Francia, ma è anch’esso un nostro vicino, per di più collocato nei Balcani dei quali è nota la tradizionale turbolenza.

Con pesi diversi le due elezioni di aprile nell’Unione Europea confermano da una parte la netta vittoria degli “europeisti” nelle elezioni per il Parlamento europeo del maggio 2019, in quelle tedesche  e olandesi del 2021 e in quelle portoghesi del gennaio 2022. Tutto questo mentre si resta in attesa, nel corso di quest’anno, delle elezioni presidenziali in Austria e di quelle per il Parlamento svedese, che non mancheranno di mandare un segnale sull’adesione al progetto europeo.

Ma questo quadro politico dovrà anche tenere conto dell’impatto che avranno sull’Unione Europea due avvenimenti fuori dai nostri confini: la guerra in Ucraina e le elezioni di midterm negli Stati Uniti nel prossimo novembre. 

L’invasione russa in Ucraina ha ridestato dal torpore politico la stragrande maggioranza dei governi europei provocandone decisioni provvisoriamente compatte e rispettose dei valori europei, ma anche registrando non poche divisioni tra i cittadini-elettori, preoccupati per i costi di questa solidarietà e il futuro della loro sicurezza.

Né sarà senza importanza l’esito delle prossime elezioni negli USA che potrebbero indebolire il presidente Joe Biden e mutare l’atteggiamento americano nei confronti dell’Unione Europea, riportando alla memoria l’irruzione ostile di Donald Trump da questa parte dell’Atlantico.

Anche solo la lettura di questi esiti elettorali dice quanto grande sia l’interdipendenza tra le democrazie occidentali e quanto grande possa anche essere la loro vulnerabilità quando un anello della catena rischiasse di spezzarsi. 

Si tratta di considerazioni che potrebbero essere utili in vista delle elezioni che, ai diversi livelli, ci aspettano in Italia e che avranno il loro peso anche sul futuro dell’Europa, oltre che per il nostro Paese. 

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