I venti di guerra non si calmano in Europa. Certamente non nell’Ucraina aggredita dalla Russia e sempre meno protetta dagli Stati Uniti. Ma il livello di allarme si alza anche nell’Unione Europea, fino a ieri prevalentemente nei suoi Paesi membri confinanti con la Russia, ma adesso anche più lontano, non solo in Germania, ma anche in Francia e in Italia, i tre Paesi più popolosi d’Europa, con la Francia dotata dell’arma nucleare.
E proprio in Francia l’allarme per una minaccia ravvicinata di guerra è suonato alto quando il Capo di Stato Maggiore francese ha dichiarato che la Francia doveva essere pronta ad “accettare di perdere i propri figli” di fronte alla minaccia rappresentata dalla Russia.
Non è stato l’unico segnale di allarme: altri a più riprese sono giunti dalla Germania dove si teme che nel giro dei prossimi cinque anni vi possa essere una guerra con la Russia e già si lavora a piani di mobilità militare europea in grado di trasferire 800mila soldati verso un futuro fronte est, facendo eco all’obiettivo annunciato dal Cancelliere Merz di fare dell’esercito tedesco il più forte d’Europa.
In questo contesto si sono manifestati, nei tre importanti Paesi citati, orientamenti a riattivare il servizio della leva militare, cominciando con adesioni volontarie, ma senza troppo nascondere che se queste non fossero sufficienti per rafforzare le difese nazionali, allora la strada sarebbe aperta al passaggio alla leva obbligatoria.
Sondaggi recenti rivelano che meno di un terzo dei cittadini UE si dichiarano disposti a combattere per il proprio Paese, a fronte rispettivamente del 41% negli Stati Uniti e il 76% in India, mentre è evidente che il problema di una libera scelta non si pone nelle dittature.
L’attuale quadro della leva militare nell’Unione Europea è, come in molti altri settori, molto variegato. Per semplificare, la leva è obbligatoria nei Paesi baltici e scandinavi; in corso di revisione in Francia, Germania, Belgio e Grecia e assente in Italia, Spagna, Portogallo e Italia.
Nel nostro Paese non sono passate inosservate le parole ancora vaghe del ministro della difesa, ma già sufficientemente chiare per annunciare una iniziativa del governo in merito con un disegno di legge del governo da presentare in Parlamento: al momento, è prematuro provare a identificare concretamente la proposta , anche se un passo verso un ritorno alla leva militare non è da escludere.
Sul tema il dibattito politico è in corso con una diffusa ostilità di diverse forze politiche al progetto, sostenuto invece dalla destra, in particolare dalla Lega, in attesa che il presidente del Consiglio si esprima rapidamente e senza le solite ambiguità, visto che qui è in gioco la “Patria” e il dovere di difenderla, come recita l’articolo 52 della nostra Costituzione.
Al momento forse l’interrogativo cui rispondere prioritariamente è quello di chiedersi quanto, nel quadro politico attuale dell’UE, queste iniziative non coordinate a livello europeo tra governi nazionali possano contribuire a costruire una difesa comune europea e non invece a frammentare ulteriormente le difese nazionali, con il rischio che queste possano un giorno entrare in pericolosa competizione tra di loro.
In tale quadro meglio sarebbe riflettere, senza escludere una futura leva militare non destinata necessariamente a maneggiare le armi, a quanto una “leva civile” potrebbe coniugare “Patria” e “cittadinanza attiva europea”.
Questo nella prospettiva di quanto auspicava Alcide De Gasperi quando a Parigi nel 1954, impegnato nella costruzione di una Comunità europea della difesa, non esitava a parlare della nostra “Patria Europa”.













