Il “modello Europa” per Orban

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Mancano dieci mesi alle prossime elezioni europee e sono molti ad interrogarsi che ne sarà dell’Unione Europea all’indomani di quel voto e nei prossimi anni. Improbabile che tutto resti come prima o quasi, più difficile pronosticare quali saranno i cambiamenti, salvo convenire che saranno importanti.
Una prima ragione risiede nelle turbolenze del contesto internazionale che non risparmierà certo l’Europa. Epicentro del sisma geopolitico in corso sembrano essere gli Stati Uniti di Donald Trump, ma un contributo determinante verrà anche dalla Cina e, più vicino a noi, dalla Russia, in attesa di capire quale ruolo riusciranno a svolgere Paesi islamici e la Turchia in particolare.
Dentro queste dinamiche non va dimenticata l’accelerazione prodotta dalle nuove tecnologie e dall’intelligenza artificiale che rivoluzioneranno la nostra vita quotidiana, a cominciare dal mercato del lavoro fino a porre interrogativi complessi alla politica e all’etica.
Su questo sfondo è chiamata a muoversi l’Europa, a dotarsi di un nuovo progetto e a farlo in dialogo costante con i suoi cittadini, facendo leva sull’intreccio fecondo della democrazia rappresentativa con quella partecipativa, entrambe indispensabili per arginare le diffuse tentazioni di una deriva verso una “democrazia illiberale”, poco rispettosa della separazione dei poteri e attratta dal fascino dell’”uomo forte”, presunto “salvatore della patria”.
Si tratta di pulsioni politiche che non mancano in Europa, Italia compresa. Ne è un campione – nel duplice senso del termine – il Primo ministro ungherese, Viktor Orban, cui si ispirano in Italia politici di estrema destra, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni.
Di queste pulsioni Orban ha dato un saggio in un discorso recente che, oltre a riproporre il progetto di una “democrazia illiberale “, ha disegnato per l’Ungheria un modello di Europa che sarà bene non sottovalutare in questa vigilia elettorale europea.
Non è un disegno particolarmente raffinato, come spesso capita a nazionalisti nostalgici: l’idea è quella di ricomporre la comunità magiara frammentata, all’indomani della Prima guerra mondiale, ad opera del Trattato del Trianon del 1920. Il progetto è quello di sviluppare una dorsale dei Carpazi, procedendo alla costruzione di un’aggregazione regionale, avente come perimetro quello di un’Europa centrale a dominante conservatrice e cristiana, da contrapporre a un’Europa occidentale decadente, corrotta e pericolosamente multietnica.
Niente di particolarmente nuovo per chi si ricordasse dell’Impero austroungarico, anche se bastano gli avvertimenti che ci arrivano dal Gruppo di Visegrad, oggi composto da Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, ma già guardato con simpatia dall’Austria e con possibili proiezioni in Paesi della ex-Jugoslavia, con Paesi ai confini con l’Italia.
Resta adesso da vedere quanto porosi siano questi confini per l’Italia, se non da un punto di vista territoriale, almeno da quello politico, viste le simpatie dei sovranisti di casa nostra e la loro diffidenza verso Paesi importanti dell’Europa occidentale, come la Germania e la Francia, per non parlare delle Istituzioni UE.
A ben guardare una gran brutta compagnia per chi vuole che l’Italia resti in Europa, certamente per cambiarla non per sabotarla.
Le prossime elezioni europee impatteranno in gran parte sulle rivendicazioni “sovraniste”, dalla cui risposta  dipenderanno le risposte a questioni irrisolte, come quelle della convivenza pacifica, del futuro dello sviluppo e del lavoro, delle migrazioni e, più importanti di tutte, quelle della nostra democrazia sulla quale si stanno allungando le ombre di esiti autoritari e regressivi, mentre si riaffacciano i rischi di conflitti che credevamo sepolti nei troppi cimiteri sparsi in tutta l’Europa nella prima metà del secolo scorso.

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