I molti fronti caldi del Medio Oriente, da Gaza al Mar Rosso

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Entrata nel quarto mese, la guerra tra Israele e Hamas non dà segni di tregua e tanto meno di cessate il fuoco. Vane le risoluzioni dell’ONU e gli appelli del suo Segretario Generale al riguardo. La risposta di Israele all’attacco sciagurato di Hamas del 7 ottobre scorso è sempre più violenta e sempre più disastrosa nei confronti della popolazione palestinese di Gaza, tra migliaia di vittime e una crisi umanitaria per quasi due milioni di persone. 

La guerra sembra sul punto ormai di superare le frontiere israeliane e palestinesi e i timori che l’incendio si propaghi all’intera regione diventano sempre più fondati. Una situazione che ha portato, per la quarta volta, il Segretario di Stato americano Antony Blinken in Medio Oriente per incontrare i leader di Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania e sollecitare il massimo impegno diplomatico e di mediazione per evitare l’escalation. Non solo, ma le tensioni nell’insieme della regione hanno spinto anche l’Alto Rappresentante UE per la politica estera, Josep Borrell, ad una simile missione, richiamando l‘attenzione sulle conseguenze catastrofiche di un’esplosione del conflitto a livello regionale e dell’apertura, di nuovi e complessi fronti su cui combattere.

Si scalda sempre più infatti il fronte nord d’Israele con il Libano, dove ormai, dall’inizio della guerra, i tiri incrociati con Hezbollah hanno già causato centinaia di vittime e dove la tensione è ulteriormente salita dopo l’uccisione, a Beyrouth, del numero due di Hamas, Saleh Al-Arouri. Non solo, ma proprio durante la missione di Blinken e Borrell, l’uccisione di un alto comandante di Hezbollah ha fatto salire ulteriormente l’inquietudine per un potenziale rischio di conflitto tra Libano e Israele. Da sottolineare il fatto che Hezbollah libanese è uno degli attori di sensibile importanza non solo sulla scena libanese, ma per tutto il Medio Oriente, in quanto alleato dell’Iran. 

Se la tensione è tanto forte tra Israele e Hezbollah libanese, “il Partito di Dio”, a buttare ulteriore olio sul fuoco in questi ultimi giorni è stato l’attentato in Iran durante le manifestazioni in memoria del Generale Qassem Soleimani, figura chiave della Repubblica islamica e ex comandante delle Guardie della Rivoluzione, ucciso quattro anni fa per mano statunitense. Le celebrazioni in sua memoria ricordavano in particolare il ruolo del Generale nella sconfitta dello Stato islamico in Iraq e in Siria, radunando intorno alla sua tomba migliaia di persone. L’attentato, forse il più sanguinoso mai avvenuto in Iran dal 1979, ha fatto quasi un centinaio di vittime, mandando in particolare due messaggi: lo Stato Islamico esiste, punta ancora al grande Califfato sunnita ed è in grado di destabilizzare il regime sciita della Repubblica islamica dell’Iran. Un vero e proprio intervento incendiario sulla scena mediorientale, già fortemente scossa da turbolenze e conflitti, e in cui l’Iran è fra i principali attori. 

Infine, la guerra fra Hamas e Israele allunga le sue ombre destabilizzatrici fin sul Mar Rosso, nodo strategico del commercio mondiale, con gli attacchi alle navi mercantili in transito da parte degli Houthi, movimento-milizia sciita dello Yemen, sostenuto dall’Iran. Impegnati in una sanguinosa guerra iniziata nel 2015 contro una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, di cui fa parte anche il Governo yemenita, gli Houthi tengono sotto controllo gran parte dello Yemen occidentale. Con l’obiettivo di schierarsi a fianco dei Palestinesi, oggi gli Houthi, benché partecipino a negoziati di cessate il fuoco con l’Arabia saudita, sembrano voler riaccendere il conflitto nello stesso Yemen, allontanando la prospettiva di una pace per il loro Paese, martoriato da anni di guerra civile e da una profonda crisi umanitaria. 

Il Medio Oriente, oltre alla guerra fra Israele e Hamas, offre oggi uno scenario alquanto inquietante. E questo in un momento di grandi cambiamenti globali e di forte debolezza del diritto internazionale.

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