L’Europa è alle prese con due guerre ai suoi confini in un momento in cui la voce del diritto internazionale e dell’ONU sembra perdersi in un labirinto di cambiamenti e di protagonismi sulla scena mondiale che disorientano non poco il comune cittadino “occidentale”.
Sopraffatta dal clamore violento proveniente dal Medio Oriente, la guerra che si trascina da quasi due anni in Ucraina rivela squarci di futuro che non ne annunciano né la fine, né la pace. E’ iniziato per gran parte della popolazione ucraina un terzo inverno, in un contesto di distruzioni, di stanchezza e di condizioni di vita quasi estreme a ridosso del fronte orientale e meridionale e con una ripresa delle operazioni militari russe che si spingono su gran parte del Paese, Kiev compresa.
Secondo le stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli Affari umanitari (OCHA) sono infatti circa diciotto milioni le persone che necessitano di sostegno umanitario, quasi la metà della popolazione ucraina.
Di fronte a tale situazione, oltre alla percezione, sentita da gran parte dei cittadini europei, di grande impotenza per fermare la guerra, e questo malgrado il sostegno civile e militare fornito, si insinua il dubbio che il sostegno a Kiev si indebolisca sempre più dalle due parti
dell’Atlantico. Se negli Stati Uniti infatti il Senato ha bloccato un ulteriore aiuto finanziario all’Ucraina da circa 60 miliardi di dollari, mercanteggiando su temi di politica interna, nell’Unione Europea si apre una settimana di analoghe difficoltà.
In ballo infatti al prossimo Consiglio Europeo del 14-15 dicembre prossimo non solo la decisione, all’unanimità, dell’adesione dell’Ucraina all’UE, ma anche la proposta della Commissione di fornire a Kiev 50 miliardi di Euro in aiuti economici. Due decisioni a rischio soprattutto per l’opposizione dell’ungherese Orban, ma anche per la freddezza di altri Paesi, quali i Paesi Bassi e la Slovacchia, appena usciti da elezioni che hanno spostato i loro equilibri politici sempre più dalla solidarietà europea.
Nel frattempo e malgrado il mandato di arresto del Tribunale penale Internazionale nei suoi confronti, il Presidente russo Putin, avvertendo le difficoltà occidentali, supera condanne, frontiere e sanzioni e si ripresenta come attore sulla scena politica internazionale, giocando ruoli
e pressioni fin sul secondo scenario di guerra, in Medio Oriente.
Con posizioni che denotano una volontà di ricuperare un ruolo di primo piano nella regione, la Russia si posiziona in modo precariamente equidistante rispetto ad Hamas ed Israele per avere margini di mediazione. In pochi giorni accoglie una delegazione di Hamas a Mosca e rafforza i rapporti con l’Iran ; vola in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti, accolto con tutti gli onori per parlare di guerra e di petrolio, nel momento in cui, proprio a Dubai, la COP 28 non riesce a decidere l’uscita dall’energia fossile.
Non solo, ma la Russia, dopo quasi due anni di guerra contro l’Ucraina, riesce persino a rimescolare le carte in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Il 10 dicembre scorso infatti, Mosca ha votato a favore di una risoluzione che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza, contrapponendosi in tal modo al veto americano al riguardo.
E’ in questo contesto che scorrono i cambiamenti in corso sulla scena mondiale, con nuovi e vecchi protagonisti che ci disorientano e un diritto internazionale che stenta sempre più a fungere da fondamento per la pace per tutti gli esseri umani.