Sono sempre più sotto tensione le frontiere dell’Europa, dove le guerre a Est e a Sud sembrano essere entrate in una fase più intensa, inquietante e che le allontana sempre più da una possibile soluzione o da una prospettiva di pace.
Alle frontiere orientali, la guerra nell’Est dell’Ucraina, per qualche tempo finita nel cono d’ombra dei riflettori dell’informazione, è ripresa con rinnovata violenza. L’aeroporto di Donetsk è caduto nelle mani dei separatisti filo – russi, una vittoria altamente simbolica dopo mesi di sanguinose battaglie contro l’esercito ucraino; il porto strategico di Mariupol è stato sotto i bombardamenti dei separatisti, che solo nella giornata di sabato 24 gennaio hanno causato la morte di più di 30 civili. Questa nuova vampata di guerra rende sempre più fragile, se non lettera morta, l’accordo di cessate il fuoco di Minsk sottoscritto nel settembre scorso, che sembrava appunto aprire uno spiraglio a negoziati di pace. Il fatto che i combattimenti si concentrino ancora su Mariupol, ultima città dell’est separatista ancora sotto il controllo del governo di Kiev e collocata sulla linea strategica che collega le regioni separatiste con la Crimea, getta una luce più che inquietante sul ruolo e sul futuro disegno politico della Russia di Putin nei confronti dell’Ucraina. E in proposito, l’Alto Rappresentante della politica estera dell’UE, Federica Mogherini, in una dichiarazione, ha sottolinea che l’attacco a Mariupol “potrebbe inevitabilmente portare a un ulteriore deterioramento delle relazioni UE – Russia” e chiede “ apertamente alla Russia di usare la sua influenza considerevole sui leader separatisti per fermare ogni forma di sostegno militare, politico e finanziario”. Ad Est, tregua o pace sono quindi due prospettive ancora molto lontane, con tutto quello che ciò comporta nell’imprevedibile evoluzione delle relazioni tra Unione Europea e Russia.
A Sud dell’Unione Europea e a pochi giorni dagli attentati di Parigi, la situazione è ancora peggiore, perché non si intravede all’orizzonte la possibilità o la prospettiva di parlare di negoziato o di pace. I Ministri degli Esteri di ventun Paesi partecipanti alla coalizione internazionale, compresi alcuni Paesi arabi, per combattere il sedicente Stato islamico, si sono riuniti a Londra il 23 gennaio scorso per fare il punto della situazione dopo 5 mesi di intervento. Salvo a constatare la necessità di rafforzare l’impegno militare e di garantire un ulteriore e maggiore sostegno all’Iraq per lanciare nuove offensive militari, senza risposte è rimasto l’interrogativo su come affrontare un nemico e un’ideologia in grado non solo di sferrare una vera e propria guerra nel cuore del Medio Oriente, ma capace di colpire ovunque, con il terrorismo, anche al cuore dell’Europa. Nel frattempo la sfida dello Stato islamico continua fra insostenibili atti di violenza come la recente decapitazione di un ostaggio giapponese e l’attentato a Tripoli che ha causato una decina di vittime, attentato che rivela l’estendersi di una guerra jihadista cieca e senza frontiere.
Di fronte a questi sconvolgenti scenari, varrebbe tuttavia la pena esplorare anche le vie di un sostegno a chi, all’interno della comunità musulmana, è pronto ad impegnarsi per salvare il suo credo, oggi vittima principale di queste temibili derive fondamentaliste.