Guerra senza fine in Siria

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Sono trascorsi ventisette mesi dall’inizio delle prime manifestazioni in Siria, manifestazioni che col passare del tempo sono sfociate dapprima in una vera e propria guerra civile e ora in un conflitto che supera le frontiere, coinvolge i Paesi vicini e mette sempre più a rischio la fragile stabilità della regione. Le cifre delle conseguenze umane di un tale conflitto sono costantemente in aumento e danno la misura della tragedia: più di 90.000 morti e più di 1,5 milioni di rifugiati sparsi tra Turchia, Libano e Giordania.

Nel conflitto, iniziato sull’onda delle Primavere arabe, oggi in terra siriana si incrociano tutti gli interessi internazionali, regionali, etnici e religiosi che la geografia della regione può offrire. E in effetti i risvolti di questo conflitto sono davvero tanti. Si potrebbe iniziare  dalla paralisi nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU che non è mai stato in grado, in tutti questi lunghi mesi, di adottare una risoluzione di condanna per il regime di Bachar el Assad. Un’impotenza segnata, in particolare,  dall’opposizione della Russia che non ha mai smesso di sostenere il dittatore siriano non solo a parole ma anche con la vendita d’armi. A livello regionale, la situazione in Siria ha inoltre riportato alla luce antiche linee di divisione mai sopite, tra sciiti e sunniti e tra i Paesi che hanno sempre perseguito l’obiettivo di una leadership locale. Queste linee di divisione si concretizzano oggi, in particolare, attraverso l’opposizione fra, da una parte l’Iran sciita che sostiene il regime di Damasco e dall’altra, Turchia, Arabia Saudita e Qatar che, con obiettivi diversi e senza una comune prospettiva sul “dopo Assad” finanziano ed armano i ribelli siriani.  Non solo, ma le tensioni e le fratture regionali aumentano anche con le preoccupazioni di Israele, il quale, dopo aver lanciato all’inizio di maggio due attacchi aerei contro basi militari a Damasco, sente con crescente apprensione il peso dell’Iran nel conflitto e la sua sfida nucleare e, più recentemente, l’appoggio militare degli Hezbollah libanesi, suoi nemici da sempre, a Bachar el Assad.

Sul fronte interno infine, l’opposizione al regime siriano ha avuto risvolti inquietanti. Da un punto di vista politico, la Coalizione nazionale siriana, il principale raggruppamento dell’opposizione nato lo scorso novembre, incontra gravi difficoltà a trovare una sua unità. Da un punto di vista militare, fra le forze combattenti dei ribelli sono sempre più presenti forze jihadiste, come il Fronte Al Nusra, legato ad Al Qaida.

In questo scenario estremamente intricato, ma dove i massacri continuano senza sosta a mietere vittime da più di due anni a questa parte, è giunta la decisione dell’Unione Europea, incapace di parlare con una sola voce, di porre fine  all’embargo alla vendita di armi all’opposizione siriana, lasciando ad ogni Stato membro la facoltà di decidere autonomamente in merito. Una decisione che, a detta dell’opposizione siriana, è inconsistente e arriva troppo tardi. D’altro canto, si profila all’orizzonte, su iniziativa di Russia e Stati Uniti, dagli interessi quanto mai distanti, un secondo tentativo di far tacere le armi con l’organizzazione di una Conferenza di pace, chiamata “Ginevra 2” che dovrebbe tenersi in giugno. Quali saranno i margini di discussione, chi parteciperà a questa Conferenza e quali chances di comporre una transizione pacifica in Siria sono i grandi interrogativi ai quali la diplomazia internazionale dovrà dare una risposta per garantire un minimo di credibilità a tale Conferenza.

Ci auguriamo che così sia e si ponga  fine ad una delle  più gravi impotenze e assenze della comunità internazionale di fronte al massacro di un popolo.

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