Grecia, culla o tomba d’Europa?

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Molto ci si è interrogati e molto ci si interrogherà ancora sul destino economico e finanziario della Grecia e non basterà la risposta positiva del ministri delle finanze dell’Eurogruppo a mettere un punto fermo al rischio di bancarotta greco o, come è stato detto, alla “danza macabra” dell’Europa.
Intanto un’altra domanda incalza, anche più drammatica delle precedenti: come ne uscirà l’Unione Europea, già ammaccata da mille sue crisi, da una vicenda che la sta additando come una matrigna crudele – e sempre più impopolare – che lascia morire i propri figli o, almeno, quelli più in difficoltà? Non era nata l’UE per rafforzare la solidarietà tra gli Stati e garantire, anche per quella via, la pace sul continente?
Se lo stanno chiedendo in molti e non solo in Grecia dove, alle prossime elezioni anticipate di aprile, è probabile il successo di un voto nazionalista e anti-europeo di opposti colori politici.
La domanda sul futuro dell’Europa non circola solo nei Paesi periferici dell’UE, come Irlanda, Portogallo, Grecia e Italia, in misura diversa, alle prese con serie difficoltà dei conti pubblici. L’interrogativo cominciano a porselo anche i più lucidi tra i tedeschi, che non si lasciano ingannare da una Germania oggi in buona salute, magari anche a spese della Grecia.
Lo ha scritto a chiare lettere Ludwig Greven su Die Zeit del 15 febbraio: “Le ultime notizie provenienti da un’Europa divisa danno una nuova cifra record per le esportazioni tedesche, che superano i mille miliardi di euro. La congiuntura è decisamente positiva, i redditi fiscali aumentano, la disoccupazione diminuisce”, per poi aggiungere: “L’economia tedesca infatti si arricchisce solo perché le nostre imprese fanno affari sulle spalle dei paesi più deboli. Ma in futuro chi potrà permettersi i prodotti tedeschi? Non è la Grecia che approfitta dei programmi di salvataggio dell’euro, ma la Germania. Se infatti la Grecia dovesse fallire, anche le banche tedesche perderebbero miliardi, a scapito dei contribuenti tedeschi. E se si dovesse tornare al deutsche mark, questa moneta sarebbe drammaticamente sopravvalutata. Il costo dei prodotti tedeschi aumenterebbe del 40%, sarebbe la fine del modello tedesco sostenuto dalle esportazioni”. E, infine, la domanda decisiva: “Possiamo parlare della prospettiva di un’Europa unita? La terra di origine della cultura e delle democrazie occidentali, trasformata di fatto in protettorato di Bruxelles…”.
A Die Zeit ha fatto eco, due giorni dopo, da una sponda politica opposta, il Daily Telegraph: “La vita in Grecia, la culla della civiltà europea, è diventata un incubo, ma l’élite europea sembra del tutto indifferente”.
Due opposti e convergenti allarmi: che cosa resta nell’Europa di oggi dei valori culturali e delle prospettive politiche di cui siamo debitori alla Grecia, un debito molto più importante di quello greco oggi da finanziare, e che costituisce grande parte della nostra ricchezza civile e politica?
E’ questo il tesoro che non dobbiamo sperperare se vogliamo salvare le nostre fragili democrazie in via di “commissariamento” e ricostituirle nello spazio europeo, proseguendo a lavorare con più determinazione al laboratorio dell’Unione Europea, inedito esperimento di una “democrazia fra le nazioni”, da associare a un nuovo progetto di Unione, invece di approfittarne soltanto e umiliarle come “pozzi senza fondo”.
Rozze parole, queste ultime, proprio del ministro delle finanze tedesco, toni arroganti che speriamo di non sentire mai più.

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