Gli Stati Uniti sono tornati. Tornerà anche l’Europa?

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Ci fu un tempo in cui l’Europa dominava l’Occidente e altre parti importanti del mondo, dopo averlo scoperto e colonizzato. Ma accadeva molto tempo fa, prima che due sciagurate guerre mondiali “suicidassero” l’Europa, con il risultato di ridurne il ruolo nel mondo, contribuendo al declino dell’Occidente.

Per lunghi anni quel ruolo è stato occupato dagli Stati Uniti, in particolare a partire dalla Seconda guerra mondiale. E’ ancora in parte il caso, ma in un contesto molto cambiato in questi ultimi anni, che hanno visto la super-potenza americana ritirarsi progressivamente da aree sensibili, mentre Cina e Russia tornavano attori importanti sulla scena mondiale.

Dinamiche che spiegano un movimento inverso rispetto ai secoli scorsi: adesso è l’America che si appresta a scoprire l’Europa, a rafforzarne l’alleanza dopo le spallate date da Trump, tanto alla NATO che all’Unione Europea.

Nei giorni scorsi il Presidente Joe Biden ha scelto l’Europa – e non solo l’Unione Europea – per il suo primo viaggio internazionale, prima incontrando Boris Johnson nel Regno Unito e i signori del G7, poi il 15 giugno la NATO e l’Unione Europea a Bruxelles, per terminare l’indomani con il suo primo confronto diretto con Vladimir Putin, in campo neutro a Ginevra.

Per tutti questi interlocutori era chiaro il messaggio: America is back (“l’America è tornata”) e si farà sentire da amici ed avversari. Amico resta il Regno Unito, cui è stata confermata la tradizionale “relazione speciale”, ma non senza qualche preoccupazione per Brexit e in particolare  per la situazione in Irlanda del nord, particolarmente cara a Joe Biden di ascendenza irlandese. Amici sono, al plurale, i Paesi membri dell’Unione Europea, che le Autorità comunitarie – il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen – hanno cercato di rappresentare al di là delle diverse posizioni nazionali. 

Per farsene un’idea basterebbe guardare a un recente sondaggio del “Transatlantic Trends” secondo il quale solo il 51% dei tedeschi e il 60% dei francesi ritengono affidabili gli Stati Uniti, a fronte del 73% degli italiani e il 76% dei polacchi. Per questi ultimi il risultato si spiega con la vicinanza alla frontiere russa, l’Italia per la sua tradizione atlantista riconfermata dall’attuale governo. Problematici invece gli atteggiamenti tedeschi e francesi, due Paesi leader nell’Unione Europea, tra loro in disaccordo sulle ragioni della diffidenza: la Germania per la difesa dei suoi interessi economici e commerciali, la Francia per il suo attaccamento alla “sovranità strategica” dell’UE e della Francia, in particolare in seno alla NATO. 

E’ questa Unione disunita con la quale ha dovuto fare i conti Biden, che si tratti dei suoi rapporti con la Russia o quelli con la Cina: due avversari da contrastare con un rafforzamento della solidarietà transatlantica, da ricostruire dopo Trump, ma che vede diffidenti gli europei intenzionati a capire quale sia la solidità della nuova Amministrazione UE e quali gli sviluppi dei rapporti con la Cina. Da parte loro gli USA aspettano di vedere quale sarà l’esito delle elezioni tedesche a settembre e di quelle presidenziali in Francia nel maggio prossimo. Per una volta, almeno  provvisoriamente, risulta più affidabile la situazione italiana, garantita da Mario Draghi, premier “europeista e atlantista”.

Per ora le due sponde dell’Atlantico hanno convenuto sulla necessità di una ricomposizione dell’Occidente, in particolare con il richiamo alla Cina, hanno sottoscritto impegni comuni, hanno firmato la tregua dei dazi, ma già sull’urgenza di affrontare la deroga ai brevetti dei vaccini hanno tenuto posizioni diverse, con la Germania preoccupata per le ricadute della sua economia. La luna di miele transatlantica vive un momento felice: da chiedersi quanto potrà durare, visti i molti interessi divergenti tra gli alleati.

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